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Appuntamento con la filosofia alla Torre Saline

Evento Terminato

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ALBINIA – Altra novità di questa edizione dell’Orbetello Piano Festival sarà l’incontro con l’associazione Filosofia in movimento, la cui attività sarà illustrata dal segretario generale Antonio Cecere.

L’associazione, la sera di venerdì 7 agosto (ore 21.30), alla Torre Saline di Albinia (Orbetello), in seno alla rosa di eventi culturali presentati da Orbetello Piano Festival, tratterà il libro di Giovanni Magrì Popolo nazione ed esclusi. Tra mito e concetto (Castelvecchi 2020). Ne discuteranno con l’autore Giacomo Marramao e Bruno Montanari. Presenterà l’evento Enrico Bistazzoni. Grazie alla disponibilità degli ospiti la partecipazione alla serata potrà essere gratuita.

Presentare e discutere il libro di Giovanni Magrì, nuova uscita della collana “Filosofia e pensiero critico” di Castelvecchi, permette di entrare in un dibattito attualissimo e di riconsiderare trasformazioni molto recenti ma, forse, non abbastanza messe a fuoco nel discorso pubblico. Si rischia di dimenticarlo facilmente, infatti, ma non più tardi di una decina d’anni fa, in Italia e nel resto dell’Occidente, nessun grande partito avrebbe scelto di ricorrere ai termini “popolo” e “nazione” per individuare la propria linea politica. Non alla “nazione”, perché il suo mito sembrava definitivamente screditato dalla storia europea dell’Ottocento e soprattutto del primo Novecento: troppi milioni di morti erano costate le due guerre mondiali, combattute in nome dell’integrità nazionale e della purezza della razza; e valori come l’unità del genere umano e la condanna di ogni discriminazione etnica e razziale dovevano essere acquisiti irreversibilmente.

D’altra parte, neppure si faceva ricorso al “popolo”, che era dato ormai per scontato, ma “nelle forme e nei limiti”, con le mediazioni e i passaggi di una democrazia rappresentativa. Così, il riferimento al “popolo” era di tutti e di nessuno. E tacciare una proposta politica di “populista” o di “nazionalista” non suonava in nessun caso come un complimento.

Poi, qualcosa è cambiato. Dalla Francia è arrivata una strana parola, “sovranismo”, che in pochissimo tempo ha invaso i talk show, i comizi e i social network, riunendo vizi e presunte virtù del populismo e del nazionalismo e “sdoganandoli” entrambi. Certo, non è proprio lo stesso nazionalismo di cent’anni fa, quello del saluto romano e del passo dell’oca: oggi quasi nessuno crede davvero che appartenere a un certo popolo renda automaticamente alcuni esseri umani migliori di tutti gli altri, una “razza superiore” o una “nazione eletta”; molti, però, credono di essere vittime di ingiustizie, constatano di avere perso le loro sicurezze, si sentono protetti solo in una dimensione chiusa e ristretta e sono disposti ad incolpare di tutti i problemi un fantomatico “nemico”, fin troppo facile da riconoscere in chi è a qualsiasi titolo “diverso”.

Così attecchiscono nuovi slogan, tutti molto simili: da “America first” al nostro “Prima gli italiani”, e tanti altri dello stesso tenore in giro per il mondo. Superato il primo impatto, può essere difficile capire cosa vogliano dire davvero: tanto più che al bisogno, in campagna elettorale, si moltiplicano e si spezzettano, in modo spesso contraddittorio (“prima i siciliani”? “prima i toscani”? E così via). Ma che importa? Gli slogan fanno presa, e in molti credono di afferrarne immediatamente e chiaramente il messaggio.

E allora ci dev’essere sfuggito qualcosa. Forse abbiamo buttato il bambino con l’acqua sporca. Forse, alla base dei termini “popolo” e “nazione” c’è un residuo di senso che la globalizzazione ha rischiato di travolgere: un appello alle dimensioni emotive, oltre che razionali, della solidarietà e del senso di comunità, senza le quali una “società degli individui” rischia di albergare solitudini e conflitti. Ma allora bisogna essere rigorosi: bisogna inquadrare esattamente il problema e trovare soluzioni, sul piano istituzionale come nei comportamenti di ogni giorno, che ci evitino il ricorso ai miti del passato, alla loro carica di violenza e di discriminazione.

Di questo si occupa il libro che sarà presentato: come usare politicamente i termini “popolo” e “nazione”, e i significati che essi racchiudono, senza cedere al populismo e al nazionalismo? Come rendere di nuovo vitale il senso dell’appartenenza e della solidarietà? Quale l’orizzonte delle comunità politiche sovranazionali, prima di tutto l’Unione Europea?

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