
FOLLONICA – C’è stato un tempo, nel dopoguerra, in cui l’Itali, geograficamente parlando, non era così come la conosciamo noi. Da qui parte il racconto di un follonichese, Giancarlo Moda, che ricorda addirittura uno sciopero organizzato dai ragazzi delle scuole medie perché Trieste fosse completamente sotto il controllo italiano.
«Era il 1953, il periodo di novembre, quando avvennero i moti di Trieste. La guerra era finita da un po’, la Costituzione era stata emessa nel 1948. Questa nostra Italia era ancora un po’ zoppa. La città di Trieste era in una situazione molto strana, il territorio era diviso in due parti: Zona A e Zona B. La Zona A era amministrata dagli alleati, e la Zona B era sotto il controllo yugoslavo».
In Italia c’era agitazione perché si voleva il ritorno di Trieste alla nostra Nazione. C’erano scioperi e richieste politiche. Per dare un esempio della divisione in due di Trieste, i francobolli in uso a quel tempo: quelli italiani avevano la sovrimpressione Amg-ftt (Acronimo che significa “Allied military government – free territory of Trieste”, ovvero Governo Militare Alleato – Territorio Libero di Trieste) ed erano usati a Trieste nella Zona A, mentre quelli yugoslavi, con valore in lire, erano usati a Trieste nella Zona B».
«A quel tempo i giornali (come pure il giornale radio) spesso riportavano degli scioperi che avvenivano in tutta Italia. Un giorno, alcuni studenti della terza media decisero di esprimere la loro vicinanza alla città di Trieste ed ai suoi cittadini. Fu decisa la data e tutti gli studenti della scuola media parteciparono. Io frequentavo la prima classe ma credo che non tutti avevamo chiaro il problema. Il giorno selezionato ci trovammo tutti in piazza Vittorio Veneto. Fu fatta una raccolta fondi per acquistare un mazzo di fiori da posizionare al Monumento ai Caduti; non è che avessimo granché in tasca, di normale niente o qualche decina di lire. Fu comprato un bel mazzo di fiori. Non mi ricordo se le ragazze presero parte od andarono a scuola, erano poche e incidevano poco a quei tempi. Eravamo in molti. Italino, il cui padre era uno dei macellai del paese, prese la parola. Italino era un famoso “monello” ma a me e ad altri era simpatico, era un tipo indipendente» prosegue il racconto.
«Non mi ricordo che cosa disse, ma toccò gli aspetti del territorio, della terra italica e dei cittadini. Più scorrevano le parole e più si animava. Parlava, stando in piedi sul gradino più alto del lato sinistro del monumento. Ritengo che quanto disse venisse dalla sua mente e dal suo cuore. Non ritenni, ne’ lo ritengo oggi, che le sue parole fossero state inculcate da qualcuno».
«A quei tempi andavo con mio padre a installare gli impianti di amplificazione per i comizi. Sentivo e vedevo i comizianti come reagivano, come si esprimevano e si comportavano. Ero anche dietro le quinte e sentivo e vedevo. Forse non ero “maturo” abbastanza, ma nessuno di questi era, per me, naturale e sincero come Italino. Quel giorno imparai anche a pensare un po’ di più da me stesso su alcuni aspetti della vita».
«Il discorso non durò a lungo. Forse, se ci fosse stato un politico, saremmo stati in piazza tutta la mattinata. Visto che era ancora presto, gli organizzatori decisero di andare a scuola. Io avevo partecipato allo sciopero senza portare la borsa con i libri ed i quaderni, pensando che avremmo fatto “festa”. Quel giorno, per la mia classe, era previsto il compito di latino. Ritenni che, visto l’entrare con ritardo, il professore (che era il terrore dei suoi studenti per le materie di latino, italiano, storia e geografia), lo avrebbe spostato ad un altro giorno. In poche parole, mi recai a scuola “con le mani in tasca”. Sorpresa! L’insegnante ci fece fare il compito».