GROSSETO – Partono la sera, alle 19.30. quando nelle famiglie ci si mette a sedere per cenare. Caricano in auto un pentolone di minestra calda, che d’inverno, per chi vive al freddo, è un toccasana. Piatti e posate di carta. Acqua. In due in auto. Inizia il giro della ronda del progetto della Diocesi Abitare la notte, un viaggio tra gli ultimi degli ultimi. Tra chi vive sotto una pensilina, in un androne abbandonato, tra chi divide il pasto con un cane, unico amico e compagno rimasto. Tra chi si vergogna e esce fuori solo all’ultimo minuto. Tra chi è rassegnato. Tra chi quel pasto lo aspetta perché forse è l’unico che farà sino al giorno dopo. I volontari lo capiscono e abbondano. Scodelle piene sino all’orlo, una parola buona, un incoraggiamento.
È il giro della ronda della solidarietà, che ogni sera parte dalla sede della Caritas in via Alfieri. Due donne ogni sera vanno a cucinare, e poi i volontari si alternano nel servizio. Si chiamano ironicamente “quelli della notte”. Sono loro ad affrontare le richieste dei diseredati. Gli invisibili. Qualcuno ha bisogno di una visita, o di farmaci. C’è chi combatte con l’alcol o con la droga. C’è chi è stremato dalla malattia. Chi non ha nulla e chi invece ha perso tutto. Alcuni provano a rialzarsi, altri ci hanno rinunciato. Coperte calde distribuite, qualche giacca o sciarpa per le notti più fredde.
Tanti stranieri, sono la maggior parte. Arrivati in Italia pensando fosse il paese di bengodi finiscono con il dormire dove capita perché gli stipendi non bastano per un alloggio e a volte manco per il pranzo. Poi c’è chi i soldi se li beve e quel piatto di minestra è l’unico pasto possibile. I volontari non giudicano, danno quel che hanno. A tutti.
È stato don Enzo Capitani a mettere insieme i molti soggetti che negli anni avevano avviato progetti simili: la Caritas, di cui è direttore, la Ronda della solidarietà, l’associazione Isaia, il Cisom.
«Prima uscivamo quattro giorni alla settimana – racconta don Claudio Bianchi, viceparroco dell’Addolorata e coordinatore del progetto -. Unendo varie associazioni abbiamo piano piano recuperato diversi volontari che sicuramente sono stati attratti dal tipo di servizio, che è un servizio molto immediato. Esci per strada, non sei tu che aspetti loro ma vai tu da loro, entri nel loro territorio, nel loro habitat naturale e vedi anche un volto di Grosseto che non vedresti. Sono i famosi invisibili che piano piano avviciniamo per i beni essenziali, cibo, acqua, coperte, intimo, vestiti, ma soprattutto speriamo che frequentandoli, potremo intercettare la loro vera identità, capire veramente chi sono, da dove vengono, se hanno dei desideri: il desiderio di uscire fuori da una vita del genere, oppure se vogliono restarvi, cercare di instaurare con loro una relazione. Come dice don Enzo “Ci dobbiamo fare abitanti di un tempo notturno, dei luoghi notturni; cambia il punto di vista anche della città di Grosseto”».
Oltre a portare un piatto caldo i volontari passano in alcuni bar e pizzerie che ogni sera mettono da parte l’invenduto e lo donano «Se a qualcuno la minestra non basta lasciamo anche qualche pizza o un dolce, sennò tutto questo cibo viene distribuito il giorno dopo alla mensa della Caritas».
A fine serata pizzette, schiaccine, tramezzini ripieni, supplì, cornetti vengono riportati in sede e messi in frigo per arricchire il pranzo del giorno dopo. «Un progetto che combatte anche lo spreco alimentare, che è una delle piaghe della nostra società».
Il progetto Abitare la notte è partito a settembre 2023 «Quest’anno abbiamo inserito anche ragazzi giovani dell’Azione cattolica. Proprio grazie a questi inserimenti abbiamo pensato di promuovere quella che, secondo noi, è una cosa fondamentale all’interno del volontariato, ossia la formazione. Anche fare volontariato richiede competenze, anche per imparare a gestire situazioni che potrebbero essere difficili. Stiamo pensando anche ad una versione diurna, offrendo a queste persone un posto in cui parlare e magare prendere un the, leggere un giornale e soprattutto entrare in relazione».
Ma quanti sono i senzatetto che usufruiscono del servizio? Oscillano, tra i 40 e i 50, a volte sono persone di passaggio che si uniscono a chi qui vive stabilmente da anni. Dal 2023 ad oggi sono cresciuti: prima erano 25-30, in meno di due anni sono arrivati a 45.
«Negli anni chi viene alla Caritas è aumentato – racconta Anna storica volontaria – ci sono anche tante famiglie» Anna da 13 anni collabora con la Caritas, e insieme a Marisa arriva alle 18 e prepara la cena, che poi viene presa da chi fa il giro.
La sera che li ho accompagnati i volontari incaricati erano Maura e Massimo. «È un mese che sono parte del progetto – racconta Maura – di solito presto servizio una volta a settimana. Questa è una cosa che mi ha sempre toccato, la situazione dei senzatetto, la possibilità di aiutarli in qualche modo. Ho i nipoti, non ho tanto tempo da dedicare, e invece la sera posso mettere a disposizione il mio tempo. Sono credente e praticante, ma volevo fare di più. Questa avventura da tanto soprattutto a me. Senti di fare qualcosa di utile per chi è meno fortunato. A volte mi chiedo chi li spinge a fare questa vita veramente difficile. Io non ci credo che ci sia chi la sceglie. Per questo il nostro lavoro è ancora più importante».
Massimo è volontario Cisom da quattro mesi «Era mio desiderio portare aiuto agli altri a chi aveva bisogno. E mi fa piacere che ci aspettino tutti con gentilezza, felici di vederci.
La prima tappa è subito fuori dalla Caritas. È qui che arriva il primo “cliente” del “ristorante itinerante”. Preferisce non parlare di sé. Poche parole di risposta quando chiedono se ha bisogmno di qualcosa. Poi il centro commerciale di Gorarella. Qui vive un francese. Non parla italiano, ma attende con riconoscenza i volontari. Alla stazione tre magrebini, il sorriso stampato in faccia quando vedono avvicinarsi il furgoncino. Uno aiuta gli altri due e porta loro i piatti. Al dormitorio di Barbanella gli ospiti sono una ventina. Tra loro anche una coppia italiana in difficoltà. «Ho una madre – racconta lui – lei mi vorrebbe anche in casa, ma mia sorella no». Difficile capire le dinamiche di queste famiglie, i motivi veri che hanno portato a spaccature così profonde. C’è chi combatte con gli eccessi, con gli abusi di alcol e sostanze. Ci sono famiglie stanche, sfinite da anni di braccio di ferro. C’è chi non è riuscito a mantenere il passo con la società in cui vive. Chi in Italia non ha trovato quel Bengodi che credeva.
Anche a palazzo Cosimini vive una coppia. È lei a venire a prendere il cibo anche per il compagno. Al palazzo delle Poste dorme un altro senzatetto italiano. Sul volto, sul corpo, nella voce impastato si leggono gli anni passati in strada. Fa vedere coperte e giaccone che gli hanno portato. I volontari si interessano del loro stato di salute, c’è chi si deve operare e chi prende farmaci.
L’ultimo dormitorio è quello della parrocchia del Cottolengo. Al momento c’è un solo ospite. Ce ne erano tre sino a poco tempo fa. Ma qualcuno sembra aver trovato la propria strada e sta cercando di andare avanti sulle proprie gambe. «Quando qualcuno ci chiede aiuto per uscire da questa situazione cerchiamo di stargli a fianco, lo aiutiamo in ogni modo possibile, dal lavoro a un alloggio».
Il senso di Abitare la notte è proprio questo «Andare nei luoghi e nei tempi in cui vivono queste persone».