
FOLLONICA – Oggi vi vogliamo proporre i racconti di un ostro lettore, Giancarlo Moda, un follonichese che dal 1984 si è trasferito in Puglia per lavoro, dove ha messo su famiglia.
Il suo racconto ripercorre gli anni di guerra a Follonica per continuare durante gli anni da sfollato a Montieri con la famiglia. Ve lo proponiamo.
«Io sono nato il 21 aprile del 1940, 2693 anni dalla fondazione di Roma, una data importante per quel tempo, era festa nazionale: celebrazione del “Natale di Roma e Festa del lavoro”. Il primo ricordo potrebbe essere il giorno in cui mio padre portò a casa una culla di vimini, quando nacque mio fratello».
L’allarme antiaereo
A Follonica c’era una fonderia di ghisa. Era collegata con due linee ferroviarie a due pontili in mare, usati per il minerale di ferro proveniente dalla miniera dell’isola d’Elba e per il carbone coke. Era un’area già con simile attività da parte degli etruschi e dei romani. Nel tempo del mio racconto, c’erano anche due distaccamenti militari, uno italiano e l’altro tedesco, che controllavano le postazioni di artiglieria costiera.
La sirena dello stabilimento Ilva era usata per “svegliare” il popolo in caso di allarme. Ricordo quello che per me è il primo allarme aereo notturno. Fuggimmo da casa, assieme a molti dei paesani e ci rifugiammo a circa un chilometro dal paese. Non successe niente. Ripensandoci oggi, fu un grande errore, in quanto si ci allontanammo dai pontili ma ci eravamo avvicinati alla sottostazione elettrica delle ferrovie, sito importante militarmente.
Ricordo quello che ritengo il secondo allarme notturno. In questo caso andammo a ripararci a circa tre chilometri a sud del paese, dalla “maialaia”, così era chiamata una signora che gestiva un allevamento di maiali. Ripensandoci bene, eravamo a circa due chilometri, in linea d’aria, dal punto di attracco di navi per il trasporto della pirite, che proveniva a mezzo teleferica dalla miniera di Gavorrano. Non ricordo altri allarmi notturni.
Il cane Tommy
Avevo un cane, Tommy, credo un meticcio, era nero e di stazza media. Ero molto attaccato a lui. Un giorno, corsi fuori dalla casa, inseguito da Tommy ed attraversai la strada. In quel momento sopraggiungeva una macchina militare tedesca, l’autista fu svelto nello schivarmi ma investi’ il cane. Di questo evento ho un non ben chiaro ricordo. Le mie immagini mi riportano alla corsa verso l’uscita della porta, seguito da Tommy e poi ho una confusione visiva. Rilevo una forma dell’auto, stranamente e’ una immagine fissa. Successivamente, posso passare alla visione di quando sono vicino a mio padre, mentre sta scavando la fossa per seppellire Tommy, non lontano dalla radice di un nespolo, che avevamo dietro casa. Forse, il non essere in grado di ritornare con la memoria al momento dell’incidente e risultare in una immagine confusa può essere dovuto ad una mia reazione o della mia mente che rifiuta l’evento. Da quel giorno non ho più mangiato le nespole, ho ripreso quando avevo circa 18 anni. Tutt’oggi, quando mangio delle nespole, la mia mente mi riporta automaticamente a quel momento. Quando fui un po’ più grandicello, mio padre mi raccontò che Tommy era risultato in forte sofferenza ed aveva le zampe posteriori spezzate, non si poteva fare niente. Un ufficiale tedesco, che era sull’auto, consigliò a mio padre di interrompergli la sofferenza, accettò, e lui lo fece con un colpo di pistola. Piansi molto.
Sfollati: la fuga a Montiano
Successivamente, la famiglia decise di allontanarsi dal paese. Sfollammo a Montieri, un sulle colline metallifere, a circa 40 chilometri, dove abitava la sorella di mio nonno materno, qui sposata con un falegname. Posto stupendo, contornato da castagni, a circa 800 metri di altezza con il poggio della collina a 1000 metri. Un paese importante nel passato, per le miniere di vari metalli, in particolare l’argento. Il luogo sembra sia stato abitato dai Longobardi, oltre alla possibile presenza etrusca e romana. Mio nonno e mia nonna si installarono a casa della zia. Mio padre affittò una camera fuori paese, dove andavamo a dormire la notte.
Al mattino frequentavo l’asilo comunale, gestito dalle suore, dove noi bambini, oltre a giocare, usufruivamo anche del pranzo. Il venerdì ci cucinavano la minestra di pesce. Un giorno, una lisca mi rimase bloccata in gola, non riuscivo ad eliminarla. Grande e lunga sofferenza, un giorno o piu’ di durata. Questa disavventura mi porto’ a non mangiare più il pesce. Stranamente, mangiavo il pane toscano abbrustolito immerso nel sugo del cacciucco alla livornese; era troppo saporito, ma stavo super attento alle lische. Ripresi a mangiare il pesce intorno ai 16 anni, costretto da un invito a pranzo dove c’era solo pesce. Ancora oggi, con il pesce ritorno a quel tempo e lo mangio non come se fosse una bistecca.
Mio padre riparava le radio e effettuava qualche impianto elettrico; si faceva pagare con prodotti alimentari, quando possibile. Io, quando a casa, giocavo sulla strada in selciato davanti all’abitazione della zia, l’unico traffico era composto da “persone a piedi”. Avevo un bellissimo giocattolo, un carro armato in metallo tipo Panzer tedesco, con carica a molla e con il colore mimetico, utilizzato nel deserto del nord Africa. Era lungo una trentina di centimetri, mio padre me lo aveva comperato a Firenze. Ricordo ancora quando me lo portò, ero andato ad aspettarlo con mia madre alla stazione ferroviaria. Quasi sempre ero solo, non c’erano ragazzi che abitassero vicino. Mi ero molto affezionato ad una signora anziana che abitava vicino alla casa della zia, si chiamava “Gegia”. Non ho mai saputo quale fosse il vero nome, era brava e spesso mi regalava dolcetti casalinghi per la merenda. In paese viveva una bambina, mia omonima, che non ho mai conosciuto. Doveva essere una monella, visto che la madre urlava quasi tutto il giorno “Giancarla, Giancarla”, chissà dove andava. Visto il nome mi era molto simpatica.
La mia memoria non mi aiuta a capire le tempistiche: stesso evento od eventi diversi? Su quanto riporto di seguito, ancora oggi, sono in grado di selezionare e rivedere i momenti che mi interessano, sempre uguali.
L’armistizio
Un giorno, la radio annunciò la firma dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati. Tutta la strada si animò di donne urlanti “E’ finta la guerra! E’ finita la guerra!”, questa frase e l’annuncio radio li ricordo ancora, come se fossero oggi. Era l’8 settembre del 1943. Gli uomini non c’erano. Questo fu ed è un giorno importante e confuso. Iniziò la guerra civile in Italia.
Un blocco di immagini che mi si associa all’annuncio dell’Armistizio è quello di mia nonna che aveva cucinato la pastasciutta (rigatoni) al sugo. Una grande zuppiera era posata sul tavolo in cucina, la carne era rara e costosa. Non ricordo se, in seguito a tale evento, l’asilo fu chiuso od il pranzo fu eliminato. Può darsi che il vedere una zuppiera con la pasta fosse dovuto ad un pranzo domenicale od alla difficoltà dovuta al non aver niente da mangiare.
Le SS
Un giorno, una signora che abitava di fronte alla casa della zia, urlò a mia nonna “Francesca Francesca”. Io ero vicino con il mio Panzer. Come mia nonna apparve sulla porta, la signora le disse “Francesca suo genero è stato fortunato oggi, i repubblichini volevano fucilarlo in piazza ma sono arrivati i partigiani e lo hanno liberato”. Mia nonna si mise le mani sulla faccia e corse in casa, penso ad avvisare mia madre. Da quel giorno la vita in famiglia cambiò. Mi accorgevo dell’agitazione che prendevano mia madre e mia nonna, in certi giorni, ma non capii. Gli uomini non si vedevano. La ragione per la quale mio padre doveva essere fucilato era dovuta al fatto che i repubblichini pensavano andasse per le case a modificare le radio, per far ascoltare Radio Londra. Sino a quel momento, mio padre, Giuseppe, non era stato “disturbato” in quanto era un invalido per servizio degli allora Carabinieri Reali a Cavallo. Qui tutto cambiò.
Un altro evento che ricordo benissimo, forse uno dei più critici, è quello dell’arrivo di tre soldati tedeschi ed un uomo vestito di nero. Si fermano alla casa della zia e picchiarono sulla porta, con il calcio del mitra, urlando “Raus kaputt, raus kaputt (fuori o vi spariamo/uccidiamo)”. Mio fratello stava dormendo nel lettino di vimini in una piccola stanzina a pian terreno; io corsi vicino a mia nonna ed avevo in mano il mio Panzer. Uno dei due soldati, che erano alla porta, mi guardò dall’alto in basso con la sua testa quasi sopra di me. Ricordo il simbolo SS sull’elmetto. Forse il carro armato Panzer tedesco, che abbracciavo, mi rese meno nemico. Mia madre, Fosca, fu rapida nel togliere mio fratello dal lettino, mentre l’altro soldato attivò il lanciafiamme e incendiò la culla. Poi spruzzarono una polvere gialla sul muro esterno e con il lanciafiamme la incendiarono. Ripensandoci ora, era certamente un liquido infiammabile che spruzzato con pressione generava un effetto di polverizzazione. Scappammo. Mia madre aveva mio fratello Pierenrico tra le braccia mentre io ero a cavalcioni sulla schiena di mia nonna. La strada era in salita, nella direzione della piazza, mi sembra che costeggiammo il palazzo comunale sul lato destro, dovevamo raggiungere, per rifugiarci, un’antica miniera esaurita di argento. Mia madre e mia nonna salivano con difficoltà per una stradina sterrata tra i castagni, credo in direzione del poggio.
Il mio ricordo salta a quando eravamo all’interno della miniera, illuminata dalle lampade a petrolio. Eravamo seduti su delle lunghe panche di legno accostate alle pareti. C’erano molte persone, quasi tutte donne. Gli uomini erano spariti, i tedeschi stavano effettuando i rastrellamenti per arrestarli o fucilarli. Ricordo, come se fosse ieri, che accanto a me sedeva una donna. Era vestita di nero ed aveva un ampio scialle nero posato davanti al petto e non dietro sulle spalle. Ad un certo punto, mi accorsi che spostava lo scialle di poco e, senza farsi vedere, inzuppava dei piccoli pezzi di pane in un bricco con il latte, mangiandoli. Nella mia memoria non rilevo immagini riguardo al mangiare o alla fame. Non so quanto tempo siamo stati all’interno della miniera. Ogni tanto si sentivano colpi di cannone. Il ricordo successivo mi porta nella piazza del paese, c’erano molte persone. Può darsi sia legato all’uscita dalla miniera o in un momento successivo. Non ricordo la presenza di militari, forse erano arrivati solo i partigiani. Ero con mio padre, stavamo uscendo dalla farmacia, non so se dopo aver acquistato delle medicine per mio nonno o a prendere dei vestiti che la moglie del farmacista mi aveva regalato, erano del figlio deceduto per malattia. Probabilmente era a metà del 1944, avevo 4 anni.
Il ritorno a Follonica e gli alleati
La serie di immagini successive mi riporta al momento di essere di nuovo a casa a Follonica. Un muratore riparava il soffitto della camera dei miei genitori, danneggiato durante il bombardamento della sottostazione elettrica, un pezzo di longarina ferroviaria volò e cadde sulla nostra casa, sfondando il tetto ed il soffitto. Sprazzi di ricordi mi riportano ad una gran confusione, dovuta alla presenza dei soldati alleati e movimenti di mezzi militari. Una cosa strana era quella che, quando questi soldati passavano lungo la strada principale e vedevano noi ragazzi, ci lanciavano pezzi di cioccolata e le famose “chewingum”, le “cingomme”, una cosa strana da masticare. Ricordo altri momenti della mia vita a fine conflitto e successivi anni.
Ritornati a casa, a volte mio padre ci raccontava come era riuscito ad entrare in casa, senza essere visto, mentre bruciava, riuscendo a lanciare fuori da una finestra un baule ed alcune valige, contenenti qualche indumento e biancheria. Avevamo un merlo nero, era rinchiuso nella gabbia appesa al muro della casa, quando bruciava, mio padre riuscì a farlo uscire e volò via, il suo piumaggio era divenuto bianco, non tornò più. Ci raccontava anche di come lui ed altre persone erano riusciti a sfuggire ai rastrellamenti delle SS e salvarsi. Avevamo perso tutto, fuorché la vita.
Qualcuno dei lettori si domanderà perché, un gruppo così consistente dell’esercito tedesco, con molti mezzi semoventi e carri armati, andò a perdere tempo in un paese con quattro gatti. Sembra che un gruppo di partigiani, per bloccare la movimentazione verso Firenze, avesse fatto saltare un ponte. Stranamente, non pensarono di farne saltarne un altro, o qualcosa di simile, che avrebbe potuto bloccare il ritorno verso Montieri. A quei tempi le reazioni erano rapide e dure. Purtroppo, sembra che alcune persone furono uccise. Un ponte mobile fu realizzato ed il gruppo tedesco ripartì e raggiunse Firenze. Ci furono importanti bombardamenti nell’area delle Colline Metallifere, da parte degli Alleati, per colpire le file di carri armati tedeschi che viaggiavano verso Firenze ed il Nord Italia, mimetizzandosi nei boschi.
Nella foto Giancarlo e il fratello Pierenrico con il cane Tommy. Foto scattata con macchina fotografica a soffietto e riprodotta a contatto.