
GROSSETO – Fare impresa in Italia è un po’ come partecipare a una maratona in cui il percorso viene cambiato ogni chilometro, senza avvertimenti. L’imprenditore corre, inciampa, si rialza, e ogni tanto deve fermarsi per compilare moduli, cercare il timbro giusto o, peggio ancora, spiegare alla burocrazia cosa sta cercando di fare. Sì, perché spesso il sistema non solo non ti aiuta, ma sembra impegnato a ignorare, o peggio, ostacolare, chi cerca di innovare.
Quando ho fondato la mia agenzia di digital marketing 25 anni fa, il mio commercialista – una figura che dovrebbe essere il traduttore ufficiale tra il linguaggio del mercato e quello della burocrazia – si trovò davanti a un muro. Dopo aver rovistato per ore tra codici e manuali, sentenziò: “Non abbiamo un codice Ateco per questo lavoro. Ti metto sotto ‘altre attività connesse all’informatica’.”
Non suonava esattamente come il biglietto da visita di un pioniere del digitale. Ma questa era la realtà: nessuno aveva ancora capito che l’innovazione non è solo tecnologia, ma anche un modo diverso di pensare il mercato, i clienti, la comunicazione. Insomma, non si trattava solo di un codice Ateco mancante: era un sistema intero che sembrava non voler vedere.
Finalmente qualcosa si muove?
Oggi, 25 anni dopo, qualcosa è cambiato. Negli ultimi giorni, l’Istat ha introdotto un codice Ateco specifico per i content creator. Una piccola rivoluzione, quasi silenziosa, ma significativa: chi oggi crea contenuti sui social, trasforma passioni in lavoro e costruisce community online non sarà più costretto a rientrare sotto categorie generiche e poco rappresentative.
Questo cambiamento ha un valore simbolico enorme. Per anni, le nuove professioni digitali sono state trattate come fenomeni temporanei, quasi mode passeggere. Ora, finalmente, qualcuno ha iniziato a capire che questi lavori non solo esistono, ma contribuiscono in modo sostanziale all’economia.
Ma quanto ci è voluto?
Il nuovo codice Ateco arriva quando ormai tutti – dal ragazzino che fa video su TikTok alla zia che insegna ricette su YouTube – sanno cosa significhi creare contenuti. E ci è voluto troppo. Questo ritardo riflette un problema più grande: la lentezza con cui il sistema recepisce il cambiamento.
Nel frattempo, però, le imprese non possono aspettare. L’innovazione, per definizione, corre più veloce delle normative, e chi fa impresa si adatta. Se non trovi un codice Ateco, ti arrangi. Se la burocrazia è lenta, trovi soluzioni creative. È un processo faticoso e frustrante, ma è l’unico modo per sopravvivere in un contesto che sembra fatto per complicarti la vita.
Il problema della distanza tra sistema e realtà
Il problema non è solo burocratico. È culturale. Esiste una distanza enorme tra chi scrive le regole e chi, ogni giorno, cerca di creare valore. È una distanza che si misura in ritardi normativi, in pratiche lente, in regolamenti scritti senza considerare le esigenze di chi lavora sul campo.
Questa distanza non penalizza solo le imprese, ma anche il sistema stesso. Ogni innovazione soffocata è un’opportunità persa: meno lavoro, meno crescita, meno competitività. Eppure, troppo spesso il sistema sembra più interessato a tutelare l’esistente che a favorire il cambiamento.
Un segnale di speranza?
Il codice Ateco per i content creator è un piccolo passo, ma anche un segnale che, forse, la distanza si sta riducendo. È un riconoscimento, tardivo ma importante, del fatto che l’economia sta cambiando, e che le nuove professioni digitali non sono un’anomalia, ma una realtà consolidata.
Certo, non basta un codice Ateco per risolvere tutti i problemi. La burocrazia resta un fardello pesante, le normative sono spesso scritte per complicare e non per facilitare, e la lentezza con cui il sistema reagisce ai cambiamenti è a dir poco imbarazzante. Ma per chi, come me, ha iniziato in un’epoca in cui il digitale era quasi un’idea stravagante, vedere un passo avanti è meglio che restare immobili.
Ora resta da capire se il sistema sarà capace di fare non solo passi, ma anche qualche corsa, per stare al passo con chi fa innovazione ogni giorno. La vera sfida sarà quella di rendere la burocrazia un alleato e non un ostacolo, un sistema che capisca e supporti chi lavora e crea valore, invece di relegarlo in un angolo con etichette obsolete.
E voi, cosa ne pensate? Questo nuovo codice Ateco è un simbolo di progresso o solo un ritocco cosmetico? Forse il cambiamento è ancora lento, ma è un segnale che non possiamo ignorare. Scrivetemelo, ma senza mandare moduli in triplice copia: qui non serve.
Marketing Antipatico
In questa rubrica parliamo di come l’innovazione può prendere forma in modi inaspettati, scoprendo le storie e le persone che la rendono possibile. Perché innovare non è solo un compito per le grandi multinazionali: è qualcosa che può partire da chiunque, anche dal tuo angolo di mondo. Restate sintonizzati, e chi lo sa? Magari la prossima grande idea potrebbe arrivare proprio da voi. Hai qualche riflessione da condividere? Scrivimi a [email protected]
Marco Gasparri, 49 anni, è il Managing Director di Studio Kalimero. Formatosi nel settore del marketing, dalla fine degli anni Novanta si dedica con successo a costruire percorsi per dare valore alle imprese e può contare su un’esperienza con centinaia di aziende nel pubblico e nel privato. Creativo, poliedrico e razionale, ha collaborato con agenzie nazionali, ha lavorato in Toscana e in Italia e ha dato vita nel 2000 a Studio Kalimero, riuscendo sempre ad anticipare le istanze economiche della società e a creare servizi e prodotti adatti al mercato.
Formatore, spin doctor, consulente politico, marketing strategist, esperto in tecniche di comunicazione, business coach ha firmato numerosissime campagne di successo: Marco Gasparri è tra i professionisti più accreditati nel campo della promozione non solo in Toscana.