Pitigliano

Studenti a teatro per non dimenticare: l’iniziativa per la Giornata della Memoria

In scena "Dov'è finito lo zio Coso": «Un'occasione per far capire agli studenti l'importanza della memoria, contro i tentativi di revisionismo storico»

nuovo teatro salvini

PITIGLIANO – In occasione del Giorno della Memoria, il Comune di Pitigliano, in collaborazione con la Proloco l’Orso, il Centro Culturale Fortezza Orsini, la biblioteca Zuccarelli e l’associazione La Piccola Gerusalemme organizza venerdì 26 gennaio, alle ore 9, un appuntamento a teatro riservato alle scuole, per sensibilizzare i giovani sull’importanza di coltivare la memoria.

Con questo obiettivo andrà in scena lo spettacolo teatrale “Dov’è finito lo zio Coso”, riservato agli studenti e alle studentesse. Non uno spettacolo sulla Shoah, ma sull’indispensabile esercizio della memoria, unico modo per salvarci dal precipizio e dall’abisso della dimenticanza, riportando alla luce ciò che qualcuno vorrebbe nascondere, oscurare, seppellire.

La rappresentazione, a cura della compagnia Lst Teatro, liberamente tratta dal romanzo “Lo zio Coso” di Alessandro Schwed, porta sul palco del Teatro Salvini di Pitigliano due bravissimi attori, Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan, accompagnati dalle musiche originali di Paolo Scatena. Adattamento teatrale e regia a cura di Manfredi Rutelli.

“La memoria di ciò che è stato è indispensabile per comprendere chi siamo, per mantenere una identità. – sottolinea Irene Lauretti, assessore alla Pubblica Istruzione di Pitigliano –. Riteniamo questo spettacolo il modo più efficace e immediato per far capire agli studenti e alle studentesse l’importanza della memoria contro i tentativi di revisionismo storico, ancora oggi presenti nella nostra società, di chi vorrebbe negare o minimizzare eventi storici tragici quale è stata la Shoah. Il rischio che corriamo è quello di un’amnesia collettiva del nostro passato se non coltiviamo la memoria rivolgendo la nostra attenzione alle nuove generazioni”.

Lo spettacolo: storia apocalittica della memoria indifesa, del rischio dell’oblio e del revisionismo storico, vede i due protagonisti, il viaggiatore Melik ed il veterinario Oscar Rugyo, incontrarsi, forse casualmente, forse no, in uno scompartimento del treno che sta portando Melik in Ungheria, alla ricerca delle sue radici e di suo zio, fratello del padre recentemente scomparso. Un incontro surreale e devastante, che porterà Melik ad apprendere da Oscar che la Seconda Guerra mondiale non c’è mai stata. Con relativa negazione di tutto ciò che da quell’evento è derivato: bombardamenti, deportazioni, morti.

Tutti eventi questi, frutto di un malinteso, un complotto giudaico laburista finalizzato a mettere in cattiva luce la grande Germania. Tesi, dimostrata con tanto vigore e stravagante fantasia, più che convincente, e da cui scaturirà la conseguente conclusione che tutto ciò che Melik ha vissuto e vive non è assolutamente esistito. Provocando nella sua fragile mente, una fitta, un lancinante dolore, come di qualcosa che si rompe, si incrina, si frattura, dentro la propria testa. Un dolore come di una botta, o, più probabilmente, di una caduta da un treno.

Da quell’incontro con il veterinario Oscar, dal successivo colpo alla testa riportato nella probabile caduta, Melik ha cominciato a perdere le parole; le dimentica, non le trova, le ha sulla punta della lingua, ma non gli vengono. Si sforza, come ora si sforza di ricordare il nome dello zio che, con quel viaggio in Ungheria, stava andando a trovare. Zio Coso, lo chiama ora. Ora che seduto sulla poltrona di casa, con le fitte alla testa, si sforza di ricordare dov’è finito lo zio Coso, si sforza di ricordare la storia, per non continuare a cadere nel precipizio, per non finire nell’abisso dell’oblio. Mentre da qualche parte si sente ripetutamente bussare alla porta.

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