
GROSSETO – «Sono tornato ormai da qualche tempo dal mio soggiorno in alcune missioni del Kenya e quello che mi colpisce è la conferma che qua l’indifferenza regna sovrana ed è la cifra del nostro agire quotidiano» a dirlo è Don Enzo Capitani in una lettera che manda ai grossetnai firmandosi “prete a Grosseto. Cittadino del mondo”.
«Tre sono i fatti che la nostra indifferenza è riuscita a fagocitare e a far sparire in questi tempi:
• La guerra in Ucraina che solo la nostra paura di esserne coinvolti tiene viva. Ma chi si ricorda ancora dei milioni di persone che sono state costrette a lasciare la loro terra? Anche noi a Grosseto ne abbiamo accolte alcune centinaia, siamo stati generosi, abbiamo aperto le nostre case… Ma dopo qualche settimana ci siamo stancati e abbiamo deciso che altri se ne dovevano interessare e quindi provvedere.
• Il terremoto in Siria e Turchia. Qui abbiamo fatto peggio e abbiamo deciso chi fosse in grado di colpire la nostra momentanea attenzione; e abbiamo scelto di parlare del dramma e dei poveri della Turchia, relegando in qualche trafiletto secondario le notizie sui poveri della Siria. E così siamo diventati giudici inappellabili delle sofferenze altrui, stabilendo di chi interessarci, di chi parlare o tacere.
• La tragedia di Cutro. Perché di questo si tratta e non di un naufragio. Abbiamo versato lacrime in abbondanza davanti alle bare e ai corpi dei bambini. Abbiamo deciso di trasformare piccole scarpe, piccoli giocattoli portati dal mare, in reliquie. Ma a che cosa servono le reliquie se non a tramandare la memoria di un fatto? E di queste reliquie in questi tempi ne abbiamo molte! Evidentemente c’è qualcosa che non torna ed è il fatto che l’indifferenza ha asciugato le nostre lacrime e sparso al vento le parole e le proposte politiche pronunciate al momento».
«Che fare – chiede Don Enzo -? Il mio personale andare per missioni – India, Bolivia, Kenya – mi insegna che io sono parte di una umanità; che niente mi è estraneo ma tutto mi appartiene. E come scriveva John Donne: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te”».
«Il confronto con altre culture, religioni, usi e costumi mi insegna che è importante cambiare il nostro linguaggio abituato a rinchiudere gli altri in ruoli che non li comprendono perché vuol dire identificarli con i fatti che vivono; dovremmo smettere di dire migranti, senza fissa dimora, invisibili, sfrattati, carcerati, ecc; questa modalità ci fa sentire diversi e distanti da loro, esasperando i conflitti; l’identificazione con il termine persona, li rende invece uguali a me qualunque situazione gli altri vivano diversa dalla mia, e la contaminazione e il coinvolgimento, in questo modo, sono resi più fattibili e più reali. L’alternativa è inevitabilmente la solitudine e per uscirne non conosciamo altro che la violenza e il conflitto.