Sindacato

Cgil: «Se Reddito di cittadinanza è concorrenziale con lavoro i salari sono troppo bassi»

Monica Pagni Cgil

GROSSETO – «La narrazione distorta – attacca Monica Pagni, segretaria della Cgil maremmana – racconta che il reddito di cittadinanza (Rdc) è novità assoluta per il Paese. In realtà il sostegno alla povertà esiste da tempo. Il governo Gentiloni lo avevo opportunamente potenziate con il Rei (reddito di inclusione). Le politiche attive per il lavoro erano strumento a parte, da sempre poco efficaci nel nostro Paese e ulteriormente peggiorate dal Jobs Act. Col Rdc la novità è stata riunire in un unico “contenitore” le due politiche, a nostro avviso in maniera sbagliata. La misura è assolutamente migliorabile, ma bisogna parlarne per quello che è».

«Sul contrasto alla povertà, va evidenziato che nel periodo della pandemia i lavoratori – notare bene, lavoratori, non inoccupati – che hanno fatto ricorso al Rdc sono aumentati a livello nazionale dal 37 al 52% del totale dei percettori. Quindi famiglie per le quali il reddito da lavoro non è nemmeno sufficiente a soddisfare le esigenze quotidiane».

«Dai partiti che ne chiedono l’abolizione vorremmo capire se per loro il problema è quello della povertà come problema sociale, stratificato e complesso, generato dalle crescenti disuguaglianze e ingiustizie sociali, oppure se lo sono i poveri in sé stessi in quanto ritenuti responsabili della propria condizione. Colpevoli quindi di non accettare lavoretti sottopagati, spudoratamente proposti da imprenditori senza scrupoli».

«Come Cgil di Grosseto – va oltre Pagni – riteniamo opportuno offrire qualche dato ulteriormente disaggregato che aiuterà sicuramente a comprendere meglio».

«I dati Inps e quelli pubblicati a marzo dalla Regione Toscana, il Focus diffuso da Anpal e l’indagine condotta da Inapp-Plus, infatti, ci consegnano un quadro assolutamente distante da quanto più volte denunciato negli ultimi mesi da imprese e politica».

«Dal 2019 ad oggi i percettori di reddito di cittadinanza in provincia di Grosseto sono stati, 4.715. oltre la metà di questi (3276) è stata esclusa dall’obbligo di partecipare alle politiche attive dei Centri per l’impiego. Per motivi vari: tra i quali il non essere in grado di sottoscrivere il “patto per il lavoro” a causa di malattie, disabilità e altre problematiche certificabili, poi le persone che l’Inps definisce «molto lontane dal mondo del lavoro» – come i giovani Neet (che non hanno studiato né hanno svolto una formazione professionale) – generalmente in base a meccanismi di isolamento ed esclusione sociale».

«Ci sono poi le persone considerabili come «vicine al mercato del lavoro», anche se con competenze professionali molto basse; tra queste, quasi tutte hanno avuto esperienze lavorative a tempo determinato durante il periodo in cui hanno percepito il reddito di cittadinanza, non sempre sfociate in una stabilizzazione come prevederebbe il patto per il lavoro».

«Sono poche decine, quindi, le persone potenzialmente occupabili sul nostro territorio che non lavorano pur potendolo fare. Infine, va considerato che l’importo medio del reddito di cittadinanza corrisposto in provincia di Grosseto è di appena 450 euro».

«Stando così le cose, e analizzando i numeri per quello che sono, è del tutto evidente che in provincia di Grosseto, come altrove, i problemi di interi comparti produttivi a reperire personale non dipendono affatto dall’erogazione del reddito di cittadinanza. Bisogna che sia chiaro che se i salari sono concorrenziali con il Rdc il problema sono i salari e non il reddito di cittadinanza. E che non è nelle disponibilità dei beneficiari scegliere se tenere il Rdc in alternativa ad un’offerta di lavoro».

«Bisogna allora chiedersi – aggiunge polemica la segretaria della Camera del lavoro – perché si continua a battere su questo argomento demagogico da parte di certi settori imprenditoriali. La scomoda verità è che in termini economici siamo un territorio vocato alla povertà, soprattutto perché negli ultimi vent’anni si è privilegiato un modello di sviluppo basato sullo sfruttamento del lavoro privo di qualifica e sottopagato. Quasi sempre nella logica del ricatto occupazionale».

«In una realtà dove il lavoro stagionale è storicamente una quota rilevante dell’occupazione – con circa 30.000 persone impiegate prevalentemente nel settore dei servizi turistici e del commercio, e in parte minore nell’agricoltura – la causa di tutti i mali non può quindi essere il reddito di cittadinanza».

«Un’ultima considerazione basata sull’esperienza diretta degli ultimi difficilissimi anni di emergenza sanitaria. Con l’attuazione delle misure di sostegno al reddito varate ne periodo della pandemia, molte ragazze e ragazzi che avevano svolto un lavoro stagionale negli ultimi anni, si sono rivolte agli sportelli del nostro patronato, convinti di poter accedere agli aiuti previsti dalle norme. Scoprendo che avevano diritto a pochi spiccioli in base a quanto riportato dalle buste paga in termini di orario e retribuzione, e che a nulla valevano le ore realmente lavorate e retribuite al nero. Forse non sono diventati sfaticati: hanno semplicemente capito, per la prima volta sulla loro pelle, la differenza che passa tra lavoro e sfruttamento».

«Questo modo di pensare l’impresa ha evidentemente fra i suoi molti effetti negativi anche quello di incentivare la fuga dei giovani che hanno competenze da spendere su mercati del lavoro più progrediti di quello della nostra provincia».

«A questo proposito – conclude Monica Pagni, chiudendo il suo ragionamento – presto approfondiremo il tema che grava sulla nostra comunità rappresentato dall’inverno demografico. Partendo da un dato che dovrebbe – questo sì – preoccuparci molto seriamente: nel 2002 a Grosseto le persone tra i 20 e i 34 anni erano 39.830, a fine 2021, sono 29.616. Un saldo negativo di oltre 10.000 giovani, in meno di 20 anni, nella fascia d’età spesso interessata dal lavoro stagionale. Altro che guerra al reddito di cittadinanza e marcette contro l’immigrazione organizzate da certa politica e sostenute anche da parte dell’imprenditoria che a quella politica fa riferimento! Quanto tempo perso non lavorando a politiche di integrazione che, invece, ci servirebbero come il pane».

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