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Con Pergamena La storia di un matrimonio ci parla di guerra

Pergamena

ANDREW SEAN GREER
“LA STORIA DI UN MATRIMONIO”
ADELPHI, MILANO, 2008, pp. 224

In questa ennesima domenica di guerra vorrei parlare di questo libro, che mi è capitato per le mani per caso: sono stato attratto dal titolo. Alla fine il romanzo narra della guerra da un punto di vista molto particolare. Ho scoperto dopo che l’autore statunitense è di tutto rispetto: ha vinto il Pulitzer nel 2018. Questo è uno dei suoi primi libri, tradotto in tempo reale dalla casa editrice di Roberto Calasso.

L’esordio del libro, scritto in prima persona (chi racconta il proprio matrimonio è una moglie), pone una domanda inquietante, anche se in forma indiretta: “Crediamo tutti di conoscere la persona che amiamo”. Occorre riconoscere la scelta coraggiosa per un autore maschio: scegliere di raccontare dal punto di vista femminile. Il resto della storia è quella dei sei mesi, che hanno sconvolto questa coppia dopo quattro anni di matrimonio e la nascita di un bambino che si ammala di poliomelite, anche se poi c’è un seguito a lungo termine dopo l’agnizione finale.

Nella quarta di copertina Antonio D’Orrico ci dice che l’atmosfera è “torva” come in certi libri di Edgar Allan Poe, piene di “colpi di scena che ci avvincono ad ogni riga”. Questo è vero, ma solo in parte, perché in molti punti mi sono annoiato. Nella mia copia c’è un numero elevato di orecchie, che segnano le evenienze per me principali e che, però, si alternano a gruppi di pagine, che sembrano dire poco. Il pregio del libro consiste nella costruzione formale adeguata al suo contenuto: ogni tanto si scopre qualcosa che era stata taciuta come se fosse un segreto della storia e del matrimonio che racconta.

La trama, che riporterò senza rivelare alcuni passaggi e l’agnizione finale per conservare la suspance a chi avrà voglia di leggere il romanzo, rimanda al classico triangolo. Pearlie, una giovane donna, sposa Holland Cook, il ragazzo di sconvolgente bellezza, che aveva conosciuto molto presto in Kentuky, lo stato di cui sono originari entrambi. Una storia normale. Si ritrovano in California e si stabiliscono a San Francisco nel quartiere del Sunset, del “tramonto”. Dopo quattro anni si presenta alla loro porta Buzz, un ricco imprenditore, che durante la seconda guerra mondiale ha conosciuto Holland in un reparto per malattie nervose (non viene detto mai esplicitamente) di un ospedale militare.

Buzz c’è finito come obiettore di coscienza. Si scopre che i due hanno avuto una relazione omosessuale. Questa scoperta, che scompagina la routine di Pearlie e Holland, si determina solo alla fine del primo capitolo. Forse è questa la malattia, di cui le due lontane cugine di Holland, Alice e Beatrice, hanno cercato di mettere in guardia Pearlie prima del matrimonio e che lei ha interpretato come una rara malformazione cardiaca: il suo cuore è traslocato a destra (è una evidente metafora). Ciò non basta: solo nel secondo capitolo scopriamo che i due coniugi sono l’unica famiglia di colore, che vive al Sunset e che da ragazzi in Kentuky lei ha aiutato lui a sfuggire alla partenza per la guerra.

Buzz ha proposto a Pearlie di lasciarlo scappare con il marito in cambio di un’enorme quantità di soldi e di una grande proprietà per lei e per il figlio. La storia si dipana in tutta la trattativa per ottenere questo risultato, Pearlie si presta anche a svelare tra un detto e l’altro la relazione tra il marito e la giovane amante Annabel, che vive al Sunset. Scrive una lettera anonima su suggerimento di Buzz (ma anche questo è rivelato dal romanzo dopo i fatti) perché il fidanzato di Annabel, William, è sfuggito fortunosamente alla chiamata alle armi per la guerra di Corea, che all’epoca della vicenda (1953) sta terminando.

La partenza così determinata di William spinge Annabel a lasciare Holland e a sposare William. Così arriviamo fino alla notte convenuta per la fuga di Holland e Buzz, che viene gestita dai due coniugi come una delle tante sere del loro matrimonio senza che neppure a questo punto essi riescono a parlarsi. Pearlie, come gli ha suggerito Buzz, va a letto e prende un sonnifero. L’agnizione sarà al suo risveglio.

Tutto il romanzo è costruito con questo modalità “retrograda”, dove la comprensione di quanto è accaduto prima si ottiene dopo con un progressivo emergere della “verità”. Il non detto, il segreto, di questo matrimonio si rivela sempre in un secondo momento. È facile vedere in questa operazione narrativa un ritorno del rimosso.

Come accade in tutti i triangoli sentimentali, i due che amano il terzo, alla fine si amano tra di loro, in una sorta di proprietà transitiva dell’amore, per cui anche la relazione tra Pearlie e Buzz appare con coloriture erotiche fin da quanto l’imprenditore bussa alla porta di Pearlie. Solo in una estrema agnizione Pearlie di sottrae a Buzz.

Non è secondario neppure lo sfondo della guerra, che condiziona il destino dei due coniugi e dell’amante, che vogliono sottrarsi alla guerra, ma il conflitto continua nella guerra di Corea, la quale determina il destino della seconda coppia (Annabel e William), fino ad incombere sul figlio di Pearlie, che per evitare di andare in Vietnam si rifugia in Canada. D

ice la voce narrante femminile: “Questa è una storia di guerra. Non doveva esserlo, è cominciata come una storia d’amore, la storia di un matrimonio, ma la guerra le si è conficcata dappertutto come schegge di vetro. Non è la solita storia di uomini che vanno a combattere, ma di quelli che non ci sono andati: i vigliacchi e gli imboscati”. Sembra il controcanto del destino imperiale e guerrafondaio degli USA nel Novecento e anche dopo.

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