Io mi ricordo

Ve lo racconto io Castiglione: i villeggianti e l’incidente per guardare le vetrine

Ve lo racconto io Castiglione

CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – I villeggianti ce n’erano pochi, e quei pochi dovevano essere coccolati In ogni modo.

Si affittavano le camere oppure le camere con uso promiscuo del bagno e della cucina. Regole ferree e rispetto reciproco permettevano una convivenza piacevole che talvolta trasformava in amicizia il rapporto tra ospiti.

La credenza divisa idealmente: una parte per chi affittava, e una parte per il villeggiante, le stoviglie che dovevano essere usate a turno, l’uso della doccia e degli altri “accessori” del bagno imponevano un rispetto per l’altro che oggi forse noi faremmo molta fatica a porre in essere.

Siamo abituati all’usa e getta ora ma allora l’abitudine era all’usa e riconsegna come se non fosse stato usato. Concetti che oggi appaiono un po’ strani.

Ricordo addirittura che qualche famiglia di quattro persone che abitava in due stanze riuscisse ad ospitare un ugual numero di bagnanti con un sistema di tende appese al soffitto utilizzate come pareti.

Non so come facessero ma sono sicuro che qualche concepimento sia comunque avvenuto nonostante la promiscuità.

Quelli invece che avevano la possibilità di alloggiare in qualche garage o retrobottega affittavano, anzi quasi sempre sub affittavano, l’intero appartamento, a volte chiudendo una camera dove poter lasciare le cose.

In questo caso i villeggianti erano persone, per così dire, facoltose, e potendo disporre di un appartamento con un po’ di privacy pagavano ovviamente di più.

Lo spirito che dominava era l’adattamento. Lo scopo dell’affittare era ovviamente quello di racimolare qualche soldo in più.

Quell’anno in casa avevano deciso di affittare tutto l’appartamento per un mese. Noi avremmo passato parte dell’estate nel retrobottega ben attrezzato con cucina bagno e stanza per dormire.

L’affitto era stato pattuito dal primo a fine agosto per un importo che avrebbe comunque permesso di affrontare quelle che babbo chiamava “spese morte”.

L’ultimo giorno di luglio, dopo aver tolto da casa le cose necessarie per passare l’intero mese di agosto “da sfollati” mamma, di buon mattino, si preoccupò di pulire a fondo la casa per renderla adatta agli ospiti.

Io fui portato in negozio da babbo. Verso metà mattinata non vedendo rientrare mamma chiesi di poterla raggiungere. Quel tratto di strada lo avevo fatto molte volte senza problemi.

Non dovevo attraversare nessuna strada in quanto, tenendo la destra, sarei arrivato senza problemi. Dopo le raccomandazioni babbo mi disse che potevo andare. Quella mattina, però, mi saltò in mente di attraversare all’altezza del monumento perché volevo guardare le vetrine del negozio di Adriade. Dopo essermi fermato per qualche minuto continuai in direzione di casa ma sul lato opposto all’appartamento.

Le auto erano parcheggiate sul lato che stavo percorrendo e ostruivano la visuale per chi avesse voluto attraversare la strada. Arrivato all’altezza del Miramare attraversai.

Non ricordo niente dopo quel momento fino a quando mi ritrovai seduto sulla poltrona da dentista del dottor Mangiaracina, che aveva lo studio proprio lì vicino, con una vistosa fasciatura in testa.

Accanto a me oltre a mamma un signore anziano tutto fasciato e dolorante che mi chiedeva insistentemente come mi sentissi.

Avevo attraversato la strada e, coperto dalle macchine parcheggiate, non avevo visto arrivare un motorino. ero stato investito.

Il guidatore veniva da Grosseto e andava verso Follonica. Nell’impatto io, la moto e l’anziano eravamo finiti alla base di un albero sotto casa, proprio dove erano stati depositati i sacchetti con l’immondizia in attesa che lo spazzino le portasse via.

Risultato diversi punti di sutura in testa (per questo mia moglie ha sempre espresso dubbi sulla mia integrità mentale) e il centauro con traumi lacero contusi sulle braccia e sulle gambe.

Un trambusto incredibile e pensare che io volevo solo tornare a casa.

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