GROSSETO – La Corte costituzionale ha respinto il referendum sulla cannabis legale. Perché?
Ieri sera il neo presidente della Consulta Giuliano Amato ha spiegato in una conferenza stampa che il quesito depositato dal comitato promotore presentava degli errori. Stando alle parole di Amato, non è stato possibile ammettere il referendum perché “il quesito è formulato in modo tale da riguardare tutti gli stupefacenti, comprese le cosiddette droghe pesanti”.
Di seguito il testo del quesito bocciato dalla Corte:
Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”, limitatamente alle seguenti parti:
articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”;
articolo 73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”;
articolo 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi), limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;”?
Per saperne di più sulle motivazioni del rigetto dobbiamo aspettare la sentenza della Corte costituzionale, ma nel frattempo Amato ha spiegato che il problema del quesito sta principalmente nel riferimento che si fa al comma 1 dell’articolo 73 del Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope (i referendari chiedono di eliminare la coltivazione dai comportamenti punibili). Nel comma si citano le “tabelle 1 e 3” dell’articolo 14, in cui sono comprese piante di oppio e coca, da cui – con una serie di lavorazioni – si ricavano eroina e cocaina. In quelle tabelle non c’è però la cannabis, che è invece presente nella tabella 2. Secondo la Corte il comitato referendario avrebbe quindi fatto l’errore di far riferimento a una tabella che include piante da cui si ricavano droghe pesanti, di fatto legittimandone la coltivazione.
Il comitato, da parte sua, ha affermato che non c’è alcun errore nella formulazione: secondo i promotori l’eliminazione della parola “coltiva” al comma 1 dell’articolo 73 è l’unico modo possibile di affrontare la depenalizzazione della coltivazione di cannabis attraverso un referendum. In Italia, infatti, i referendum non costituzionali sono solo abrogativi, ovvero possono solo cancellare o una parte di una norma o la norma intera. Non è dunque possibile, tramite referendum, modificare o integrare una legge. Questo, secondo i promotori, ha reso complicato la formulazione del quesito visto che, come è scritto sul Testo unico sulle droghe, chi coltiva piante di cannabis è messo sullo stesso piano di chi coltiva piante di altre sostanze stupefacenti, come papavero e oppio.
Il comitato ha quindi proposto “di depenalizzare la condotta di coltivazione di qualsiasi pianta”, dunque non soltanto della cannabis, ma ha specificato sul suo sito che “la cannabis è l’unica sostanza che non richiede ulteriori passaggi prima di essere consumata”, al contrario per esempio di oppio e coca, che devono essere trasformati e lavorati per diventare eroina e cocaina. A questo si aggiunga, spiega il comitato, che “in Italia le piante di coca non crescono”. Inoltre, le lavorazioni per ricavare eroina e cocaina, in ogni caso, non sarebbero state permesse anche se il referendum fosse passato, perché “la detenzione di piante, foglie e fiori a fini di spaccio e le attività di fabbricazione, estrazione e raffinazione, necessarie ad esempio alla cocaina e l’eroina” avrebbero continuato “ad essere punite”.
“Il riferimento del presidente alle tabelle è fattualmente errato – continuano dal comitato -: dall’anno della bocciatura della Legge Fini Giovanardi (2014) il comma 4 è tornato a riferirsi alle condotte del comma 1, comprendendo così cannabis. La scelta è quindi tecnicamente ignorante e esposta con tipico linguaggio da convegno proibizionista”.
“Si è persa l’unica occasione di cambiare le leggi sulle droghe che in questo Paese nessuno ha il coraggio di toccare, nemmeno chi dice di voler riformare la giustizia”, è il commento finale dei promotori.
Ma come la pensate voi sulla questione? Il 58,7% dei lettori che hanno votato il nostro sondaggio su Instagram e Facebook ha risposto che avrebbe voluto votare il referendum sulla cannabis legale.