GIACOMO LEOPARDI
“DIALOGO DI UN VENDITORE D’ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE”
EDIZIONI ETS, PISA, (1832) 1994, pp. 12
Nel rinnovare gli auguri di buon 2022 ai lettori di “Pergamena” propongo questo testo. Il Dialogo qui pubblicato come opera singola, stampata come un’”occasione… per fare gli auguri” (scrive l’editore nella quarta di copertina), è una delle ultime due “Operette morali”, composta nel 1932 ed aggiunta nella seconda edizione, quella fiorentina del 1834. Essa ricalca la forma da cui nascono le prime operette, concepite tra il 1819 e il 1820, in cui l’autore pensava ad un progetto di “Dialoghi satirici alla maniera di Luciano … tra personaggi che si fingano vivi, ed anche volendo tra animali” come egli scriveva all’amico e mentore Giordani, ma qui non troviamo traccia dell’intento satirico.
L’operetta si configura come un vero e proprio dialogo, cioè tra uno scambio di battute tra un venditore di almanacchi e lunari e un passante, che il venditore appella ripetutamente “illustrissimo”, come un signore degno di rispetto. Non vi sono altri segnali di ambientazione, possiamo pensare per vie interne che il dialogo avvenga per strada di una città sconosciuta. La forma del dialogo fin da Platone nell’antichità era utilizzata per opere di tipo filosofico. In effetti il dialogo è una riflessione sul senso della vita. Il pensiero filosofico di Leopardi all’epoca della stesura del “Dialogo” è ormai completo.
Il venditore rappresenta allegoricamente il senso comune con un certa quota di ingenuità a cui si contrappone il cliente, che rappresenta l’interrogativo filosofico. Infatti egli pone la domanda fatidica: “Credete che sarà felice quest’anno nuovo?”, a cui seguono una serie di domande incalzanti. Il venditore ottimisticamente, anche in base all’interesse di vendere la sua merce, risponde che il nuovo anno sarà sicuramente migliore di tutti gli anni precedenti. È il senso degli auguri che ci siamo fatti con la speranza che finisca la terribile pandemia, che ci ha rubato gli ultimi due anni di vita, cioè che il 2022 sia migliore del 2020 e del 2021. Apprendiamo che l’uomo vende almanacchi da venti anni. Il passante lo incalza: “non vi ricordate di nessun anno che vi paresse felice?”.
Il venditore ammette a denti stretti che non ne ricorda alcuno, pur affermando che “la vita è una cosa bella” e che vorrebbe tornare a viverla, ma non vorrebbe viverla come prima. Chiede il passeggere “con tutti i piaceri e i dispiaceri … passati ?”. Risponde il venditore: “Cotesto non vorrei”. Quindi l’argomento è quello del piacere, un tema classico della riflessione di Leopardi. Il venditore vorrebbe “una vita così, come Dio la mandasse, senz’altri patti”. La conclusione stringente del passeggere è la seguente: “se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e tutto il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”. “Speriamo” è l’incerta conclusione dell’ingenuo venditore. La stessa conclusione Leopardi aveva tratto alcuni anni prima nello “Zibaldone” (1 luglio 1827).
La felicità non è legata a qualcosa di reale che stiamo vivendo o abbiamo già vissuto, ma solo all’attesa, alla speranza di ciò che ci immaginiamo e ci illudiamo possa accadere: “Nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiamo provato più male che bene; e se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l’ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione o ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti”. Questo per Leopardi è il piacere più solido, quello vano delle illusioni. Secondo la storia delle letteratura di Luperini: “ Manca al disincanto del passante ogni punta polemica o sarcastica; la sua critica dell’ottimismo è umanamente commossa, malinconica e non risentita” (“La scrittura e l’interpretazione”, edizione rossa, parte 2, tomo III, p. 465). Siamo nel clima de “La ginestra” (1836), nel calore pur pessimista della “social catena”, della solidarietà sociale.
L’editore pisano nel risvolto di copertina ha pubblicato il giudizio di Nietzsche: “Quando il gentile passeggere, di sicuro un aristocratico, dice al venditore di almanacchi, un uomo altrettanto gentile ma popolano, che con l’anno nuovo incomincerà per tutti la “vita felice”, Leopardi non pensa né alla vita mistica né alla vita ascetica, e neppure a Lucrezio. Il suo pessimismo, che io ho sempre accostato a quello di Schopenhauer e De Vigny, si apre inaspettatamente alla speranza”. A mio avviso questo giudizio è poco calzante: per Leopardi la speranza rimane fino in fondo un’illusione – come abbiamo visto –, la possibilità concreta dal punto di vista materialistico è la solidarietà sociale.
Non vi è dubbio che il taglio razionale del “Dialogo” è tipico di una costruzione allegorica, in cui i due interlocutori incarnano due opzioni filosofiche, l’ottimismo ingenuo e il pessimismo materialista. Non vi è traccia del ritorno del rimosso? Sicuramente non di quello erotico, a meno di non volerlo tirare per i capelli per la reciproca simpatia degli interlocutori, ma vi è un emergere di quello sociale, anche se non nella versione ostile di cui parla Orlando sulla scorta di Freud.
Dunque a tutti i lettori di “Pergamena” buon anno all’insegna della solidarietà sociale.