EMILE ZOLA
“UNA PAGINA D’AMORE”
EDIZIONI THEORIA, RIMINI, (1878) 2019, pp. 274
Si tratta dell’ottavo romanzo del ciclo dei Rougon-Maquart, quindi fa parte della grande serie di romanzi naturalisti di Zola, ma qui il naturalismo c’entra fino a un certo punto. Questa “pagina” sembra presa da un altro libro. Ce ne informa lo stesso autore fin dall’incipit: “Una pagina d’amore sarà per me qualcosa di assolutamente nuovo … Un libro intimo in mezzatinta… Il titolo vuol dire questo: una pagina in un’opera, una giornata in un vita”.
Dal punto di vista temporale la vicenda occupa circa un anno e racconta la vicenda della giovane vedova Hélène, a cui tutti gli uomini insistono a baciare i piedi. Ella vive a Parigi nel quartiere periferico di Passy sulle alture del Trocadero, dove era venuta a vivere dalla provincia con il marito venuto subito a mancare. Di lui sappiamo che era di qualche hanno più vecchio di lei e che le baciava i piedi. E’ vedova da diciotto mesi e fa una vita appartata dedicandosi interamente alla figlioletta Jeanne di dodici anni, che è sofferente per un'”affezione cloroanemica, le cui complicazioni sono così terribili nell’età in cui la fanciulla si converte in donna”. Questo “caso patologico” sembra stare sulla linea degli studi naturalistici di Zola, ma in realtà il romanzo – come ci ha avvertito – è su tutt’altra linea, all’apparenza non ha niente delle tinte fosche o solari degli altri romanzi.
La storia si apre con una crisi notturna di Jeanne, che costringe Hélène a chiamare il dottor Henry Deberle, suo vicino di casa. Nella terribile notte che i due affrontano si crea subito un’intimità, che preannuncia il futuro legame. In senso naturalistico si conoscono prima i corpi: lo scialle di Hélène ne lascia scoperte le spalle, la camicia sbottonata di Henry ne fa intravvedere il collo nudo. Il racconto continua con una modalità tenue (la mezzatinta di cui Zola ci ha preavvertito) in una lunga schermaglia tra i due. Sembra quasi che l’intreccio faccia fatica a decollare fino alle ultime cento pagine, quando la relazione riesce a concretizzarsi in un unico incontro. La moglie di Henry, Juliette, è in procinto di consumare la relazione con un suo giovane e ricco amico, Malignòn.
Hélène, offesa dal possibile tradimento del suo oggetto di desiderio, con una lettera anonima denuncia la cosa ad Henry, poi si pente e cerca di avvertire Juliette del rischio. Così i due possibili amanti lasciano il luogo preparato per il convegno, Hélène rimane sola e al sopravvenire di Henry si trova nell’alcova rosa e qui loro consumano il loro lunghissimo desiderio, ma in maniera insoddisfacente per la donna. Anche Henry le bacia i piedi. Il doppio intreccio, che Zola mette in piedi in questo passaggio, è mirabile e degno di un romanzo di avventure, che l’ascio alla curiosità del lettore. Durante la lunga assenza della madre Jeanne si espone al freddo e alla pioggia, si sente tradita da lei. Questa esposizione alle intemperie scatena una tisi acuta, che porta la giovanetta alla tomba. Questo impedisce ad Hélène di consumare il suo desiderio una seconda volta a completamento della prima. Non ci sarà altro seguito. Zola ci porta così all’ultimo capitolo. Hèlene ha accettato di sposare un vecchio amico prima rifiutato, il Signor Rambuad, e lasciare Parigi per Marsiglia. “Anche lui le aveva baciato i piedi nudi, i suoi bei piedi di statua”. In faccia a Parigi rimane solo Jeanne, morta e sepolta nel cimitero di Passy.
Nella sua ottima introduzione Ottavio Cecchi sottolinea l’interruzione che questo romanzo segna con la linea naturalista dell’autore: Zola dà alle stampe “Une page d’amour” senza successo. “Aveva abbandonato il suo metodo di accumulazione di dati reali per tornare agli antichi languori romantici”. Zola all’inizio della sua carriera di scrittore muoveva dai modelli romantici prima di scoprire la lezione del realismo di Balzac e Flaubert approdando poi al proprio metodo naturalista, di cui – come abbiamo visto – vi sono tracce anche in questo romanzo. Evidentemente i suoi lettori non gli perdonarono questa deviazione dalla linea, che ne aveva decretato il successo.
Infine veniamo alla questione platealmente iterata dei “piedi nudi”, il primo marito lo aveva fatto; anche Henry lo ha ripetuto nel loro unico incontro e anche il bonario Sig. Rimbaud vi indulge. Dunque in questa ripetizione non vi è solo la raffigurazione del classico feticismo maschile alla Dovstoevskij, di cui è nota la passione per i piedi femminili, ma vi è l’indicazione ripetitiva della “parte per il tutto”, cioè un moto inconscio più profondo che allude alla forma statuaria, marmorea, seria e sostanzialmente fredda della corporeità e dell’amore di Hélène: la sua libido, il suo desiderio, è irraggiungibile da tutti gli uomini che l’hanno avuta, ma soprattutto da lei stessa. Vi è indicata un sorta di alienazione moderna dalla corporeità, dalla sua naturalità, ammantata dal ritorno allo stile romantico, che Zola usa eccezionalmente in questo romanzo e che allude molto indirettamente a una costruzione allegorica.