JOHN WILLIAMS
“STONER”, FAZI, ROMA, (1965), 2016, pp. 332
Si tratta del libro di esordio dell’autore, di cui è in uscito, sempre presso Fazi, un nuovo romanzo, “Augustus”, sulla vita del primo imperatore romano, che è anch’esso una riflessione sulla vita di un personaggio come Stoner, anche se questa volta di tipo storico, che getta una luce significativa sui temi dell’esistenza umana. Sono romanzi che dipingono allegoricamente il senso della vita umana.
“Stoner” è una riscoperta, un libro agghiacciante, disperato e affascinante, che offre piani di lettura multipli. E’ uscito negli Stati Uniti nel 1965, scritto da un insegnante universitario di origine contadina, nato nel 1922 e morto nel 1994. E’ stato recentemente riscoperto ed ha avuto un grande successo mondiale sulla base solo del passa parola dei lettori.
E’ la storia della vita di un insegnante di letteratura dell’Università del Missuri, dove è giunto come figlio di contadini dalla campagna per studiare agraria (motivo evidentemente autobiografico) e che viene fulminato dalla letteratura leggendo un sonetto di Shakespeare. Passa l’intera vita insegnando come lettore all’Università, trascinandosi in un matrimonio infelice, che lo allontana dalla figlia adorata, Grace.
Conosce l’amore attraverso la letteratura, innamorandosi di un’allieva, ma vi deve rinunciare perché è vittima di una persecuzione universitaria ad opera di un capo invidioso e deforme. I due amori per la letteratura e per la giovane allieva rappresentano l’emergere delle passioni inconsce.
Stoner invecchia nel campus, dover è stato studente, attraversando due guerre mondiali e la Grande Depressione. Muore alle soglie della vecchiaia, di cancro allo stomaco, avendo scritto un solo libro di letteratura. E’ stato scritto che un vita così piatta e triste “non è una materia troppo promettente” per un romanzo, ma Williams ne fa una storia appassionante ed avvincente (dalla “Postfazione” di Peter Cameron).
E’ proprio la sensazione profonda che ho tratto dalla lettura, esaurita in pochi giorni, per cui consiglio di leggerlo. E’ l’atteggiamento verso la vita di Stoner che è affascinante. Vi sono anche altri piani di lettura, che appaiono in filigrana, come quello relativo alla tradizione letteraria antica, medioevale e rinascimentale, a cui Stoner si dedica, ma questo implicherebbe un ulteriore approfondimento, che va oltre il compito di una recensione. E’ stato scritto (da Barbara Carnevali sulla rivista legata alla Scuola di Francoforte e uscita on line nel blog “Le parole e le cose”, 2016) “la saggezza di Stoner non conosce Dio”, cosa che condivido. La sua storia evoca quella di Giobbe, a cui capitano traversie di ogni tipo, ma appunto senza Dio. In questo la sua morale non mi sembra “stoica” come sostiene la Carnevali: Stoner non accetta la consolazione della filosofia, non si accontenta della libertà dello schiavo che attraverso la filosofia o l’etica può credersi libero anche quando è in catene.
Mi pare che Stoner viva nella logica di un materialismo pessimista, che affronta le difficoltà e le tragedie della vita senza arrendersi mai, andando fino in fondo con una modalità contadina che “dopo un raccolto ne viene un altro” come ebbe a dire Alcide Cervi sulla morte dei suoi sette figli. In questo è “stoner”, una forma rafforzata della pietra (in inglese “stone”). Offre resistenza al destino, si ribella alla propria sorte; si direbbe come Leopardi “renitente al fato”, alla necessità che il caso impone alla vita umana. In questo è un erede della tradizione antica, ma da un punto di vista molto moderno.
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