Sì, io mi ricordo...

Ve lo racconto io Castiglione: il mese di maggio, ponte verso l’estate

Ve lo racconto io Castiglione

CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Castiglione è bella in qualsiasi mese, ma a maggio da il meglio di se in ogni aspetto.
È il mese del risveglio, della rinascita, dei profumi e, sopratutto, dell’attesa. La sera, appena si fa buio, sono le lucciole le protagoniste.

Allontanandosi dalle case verso via papa Giovanni le vedi accendersi e spengersi sotto gli olivi o nel Poggetto sovrastante la strada, pieno di macchia che si allunga fino sotto la panoramica. Sembra che si vogliano nascondere e nello stesso tempo vogliano essere cercate.

Mia mamma diceva «le lucciole, con quello strano lampeggiare, fanno come Maria che diceva “mamma, Cecco mi tocca… toccami Cecco che mamma ‘un ci vede?”»

Tornando da Firenze, con Anna e Gloria piccole, il venerdì arrivavamo a casa dei miei genitori dove insieme a Jacopo andavamo a vedere le lucciole, affascinati dal quel lampeggiare continuo, sfuggente. Si pregustava l’estate che di lì a poco sarebbe esplosa.

Le giornate si allungavano e sembravano non finire mai e la luce del sole che sfiorava il mare ci regalava uno dei bellissimi tramonti castiglionesi, sempre diversi, di quelli che per la violenza dei colori ti sferrano in “cazzotto” in mezzo allo stomaco e non ti fanno respirare.
Si cominciavano a sentire i profumi che cambiavano, come se nell’aria ci fosse un “aroma” che caratterizzava quel mese.

Per i credenti maggio è anche il mese dedicato alla Madonna, e cogliere un fiore per metterlo vicino all’ immagine sacra non ci faceva sembrare irrispettosi nei confronti della natura.

Anche i rumori cambiavano forse perché qualche animale, rimasto zitto durante l’inverno, aveva cominciato di nuovo a farsi sentire.
Non eravamo ancora al momento delle cicale petulanti tuttavia qualche cinguettio lo potevamo già sentire. Maggio il mese che mi è sempre sembrato un ponte tra il sonno e la veglia. Proprio in una di quelle serate lampeggianti, avvicinandomi verso il campo sportivo, mi è tornato in mente il paesaggio di quei posti di qualche anno prima.

Da Ciro fino al campo sportivo campi coltivati e poche case quasi tutte prospicienti la strada principale e, in fondo, lato mare, I Villini.
Dall’alto, ieri come oggi, il Castello che vigila sul paese. È lassù, come fosse un gigante che guarda verso il mare e che controlla “la maturazione delle stagioni”, controlla che il mare rispetti la costa, controlla che l’estate arrivi con gradualità e sorveglia l’armonia tra natura e persone.
E… poi verso l’estate…

Dopo l’apertura del Villaggio svedese è nata la Castiglioni che oggi conosciamo. Noi ragazzi, sia i più piccoli sia i più grandi, nel mese di giugno giocavamo nella piazza davanti alle scuole elementari dove il sabato si faceva il mercato. La piazza non era asfaltata, ma di terra battuta. Lì si giocava a palline, alla “romana” o a “buchetta” mentre i grandi giocavano a “eccomi” o a “liberi tutti”. “O bischero non puoi giocare a romana con Gastone che è di ferro e spacchi tutte le palline di coccio”, “io gioco con che mi pare se un ti garba vai a gioca’ con quelli più grulli”. “Eccomi!”.

Mentre si giocava un fruscio attirò l’attenzione. Una donna bionda, con gonna corta spingeva una carrozzella per diversamente abili. Alta, bionda, spigliata nell’aspetto, diversa dalle donne che si vedevano in giro in paese. I ragazzi grandi si giravano e parlottavano tra sé. “Bona! Hai visto?”
“Se l’avessi tra le mani sai che gli farei?” “ma poro strullo se quella fa una pisciatina t’affoga” “sai assai te cosa gli farei!”. Intanto la straniera si avvicina a noi più piccoli e: “Pro menerà po’ standard!” Così si capiva noi ragazzi. Ma chissà cosa diceva in realtà. Poi un sospiro grosso. Quel sospiro era tipico degli svedesi.

Era l’inizio della prima estate con gli svedesi della Reso in paese. I negozianti si attrezzavano cominciando a biascicare qualche parola in svedese
“tac tac” ma senza i sospiri, il sospiro no, era troppo. Ci si meravigliava che capissero i numeri scritti in Italiano… Era l’inizio dell’estate. Per i ragazzi più grandi era l’inizio di una vita nuova. Il villaggio svedese infatti aveva portato nel piccolo paesino di pescatori una ventata di civiltà inaspettatamente gioiosa.

L’intuizione di quel sindaco, oggi ricordato, ma forse allora poco capito, stava trasformando non solo il paese ma le vite di ciascuno di noi. L’estate si affacciava prepotente in maniera diversa. C’erano ovviamente il mare, il sole, i tramonti splendidi, rosso fuoco, ma insieme anche una nuova linfa: la diversità di un popolo che di lì a poco sarebbe diventato parte integrante della cultura paesana.

Molti di quei ragazzi che “sbavavano” per le ragazze bionde e che parlavano una lingua diversa dalla nostra si sarebbero in futuro sposati e le svedesi di “noi antri” sarebbero diventate le grandi ammiratrici del nostro borgo. Si il nostro borgo che fa venire la pelle d’oca quando si guarda all’alba o al tramonto con i colori della natura che pare si siano concentrati tutti lì come per dirci qualcosa.  I rossi, gli arancio i gialli che sul mare fanno apparire le tavolozze e i quadri dei pittori come stucchevoli esercizi di prova. I tramonti estivi di Castiglione ti entrano giù nella gola e sfiorando il cuore ti si piazzano nelle stomaco come cazzotti. Ti levano il respiro tanto sono violenti.

Si confondono con il mare e con i bordi scuri delle isole in lontananza. Sono il corollario di una bellezza senza uguali. Si mischiano al fruscio delle piante e al rumore sempre presente del mare. Il profumo intenso dei gelsomini mischiato al salmastro si fonde nelle narici e ti ricorda che si va verso l’estate. Sì l’estate. La stagione in cui tutto cambia e resta uguale. Cambia la vita ma resta identico il fascino del posto. L’estate che porta lavoro e spensieratezza. I conti poi si fanno a ottobre.

Poi improvvisi, dopo il Ferragosto, i temporali che rendono il mare luccicante come se sparassero i fuochi d’artificio. La gente che corre via dalla spiaggia in cerca di riparo. Capelli bagnati e volti quasi impauriti dall’esplosione della natura. La corrente che se ne va e tutti a comprare le candele e le carte da gioco per passare al riparo il momento di “buriana”. Pochi minuti e dopo di nuovo il sole, con l’aria così limpida che pare di poter toccare le case dell’Elba. Eccola l’estate del paese più bello del mondo. Il mio.

Sulla spiaggia qualche stabilimento balneare e romani e milanesi che si contendono il sole, il mio sole. Intanto io penso che fra qualche giorno se ne andranno a casa loro e il paese ritornerà tutto mio. Poveretti che devono vivere in città in mezzo al traffico mentre io vivo in mezzo alle albatre. Intanto l’estate passa e ogni giorno in meno è come fosse una perdita…

La sciroccata poi si presenta improvvisa con le onde che spruzzano sul fanale rosso e quello verde. L’aria diventa appiccicosa e si fatica a fare tutto. Il bagno è vietato, c’è la bandiera rossa, e solo qualche sciagurato si butta, fischiato dal bagnino. I profumi sono diversi con l’aria pesa. Il pitosforo leva il respiro.

Poi dopo la sciroccata torna il sereno e si ritorna a vivere l’estate dei villeggianti, quella con il solleone che ti cuoce la testa e il corpo. Si, quello dei villeggianti, perché il nostro è forgiato al sole e alle intemperie della macchia. Si vedono bagnanti color rosso fuoco, spellati ma contenti. Noi ci accontentiamo di altro. Della brezza che scende giù dal Poggio o sale dal mare e va verso il Castello. È veramente il posto più bello del mondo. È caldo e passo da via Remota. Lì c’è sempre ombra. Vengo dalle Fontanelle e sbuco in piazza.

Seduti al bar Porrini alcuni stranieri sorseggiano una bibita accarezzati dalla brezza. Più in avanti cinque o sei ragazzetti “puntano” una svedese.
Altri si affacciano da Oreste a comprare le sigarette. Romolo ha cominciato ad apparecchiare per la cena. Uno sguardo più avanti e poi via di corsa a casa respirando l’aria di mare e i profumi della natura. Arrivo a casa e penso che sto vivendo in una fiaba.

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