Il caso

Cgil, Cisl e Uil sui gessi rossi: «Basta ambientalisti che dicono no a tutto, tutelare i posti di lavoro»

Gessi rossi

GROSSETO – Cgil, Cisl e Uil di Grosseto chiedono alla politica una presa di posizione netta. “Il fattore tempo è determinante. I gessi rossi sono un rifiuto speciale non pericoloso che il testo unico sull’ambiente individua come adatti per ripristinare cave che necessitano della messa in sicurezza: come l’ex cava di caolino in questione”.

In attesa della conferenza regionale dei servizi del 4 marzo prossimo, anche le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil Grosseto intervengono nel dibattito sullo stoccaggio di gessi rossi nella cava di Pietratonda (tra i comuni di Campagnatico e Civitella Paganico). “I comitati ambientalisti, del no a tutto, – dicono i segretari generali Andrea Ferretti (Cgil), Fabrizio Milani (Cisl) e Federico Capponi (Uil) – stanno posticipando la soluzione di un problema ambientale presente a Pietratonda e, così facendo, stanno mettendo a rischio centinaia di posti di lavoro, in nome di pericoli per l’ambiente e la salute a nostro avviso inesistenti, viste le valutazione tecniche, prese su basi scientifiche, dagli enti che hanno competenze specifiche in materia, attribuitegli dalla legge”.

Il polo chimico della piana di Scarlino dà lavoro, in maniera diretta e indiretta a circa mille persone, producendo il 30% del prodotto interno lordo dell’intera provincia e l’export dell’intero polo chimico rappresenta il 45% del totale del territorio. “Gli stipendi dei lavoratori di Venator e  Nuova Solmine ammontano, complessivamente, a 25milioni di euro annuali, che ricadono direttamente sul territorio e che derivano da contratti che garantisco, in modo ineccepibile, i lavoratori, 365 giorni all’anno. Portare avanti questioni in maniera strumentale, senza tenere conto di questo aspetto è irresponsabile e per questo chiediamo alla politica una presa di posizione netta che tenga conto della salvaguardia dei posti di lavoro, accanto alla salvaguardia doverosa dell’ambiente”. Venator e Nuova Solmine contano 350 dipendenti interni, il 90% dei quali provenienti dalla provincia di Grosseto. A questo si aggiungono, ricordano i sindacati, i dati contenuti nel “Bilancio di sostenibilità 2019 del comparto chimico e petrolifero toscano”, presentato da Confidustria e che, per il Grossetano si referiscono a Venator e Nuova Solmine: “Le due aziende hanno creato in quell’anno ricchezza per gli stakeholder pari a 48 milioni di euro di cui 23,8 milioni verso i dipendenti e 3 milioni per tasse e imposte. Inoltre sono stati investiti 14 milioni di euro per manutenzioni, ordinarie e straordinarie, e 11 milioni per il miglioramento delle performance ambientali ed energetiche”. Nello stesso documento si evidenzia come, per la formazione del personale, compresi gli aspetti di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, le aziende hanno investito 2,5 milioni di euro erogando oltre 14mila ore di formazione.

I gessi rossi, ricordano Cgil, Cisl e Uil, rientrano nei rifiuti speciali – che sono tutti quei rifiuti non urbani – non pericolosi. E parlare delle presenza di sostanze cancerogene nei gessi non è corretto:  “Dire che il gesso rosso è inquinante significa affermare il falso: il gesso chimico è da sempre utilizzato in molteplici settori, tra cui quello agricolo, come ammendante e, per questo motivo, è classificato come rifiuto non pericoloso”.

“Inoltre – precisano le organizzazioni sindacali – proporre di modificare il ciclo di produzione con il cloro, come tempo fa è stato proposto, significherebbe dover creare un nuovo impianto, al quale far arrivare cloro con trasporti su gomma che, già di per sé è inquinante e, addirittura, in caso di incidente e di fuoriuscita del prodotto, provocherebbero danni ambientali e rischi per la popolazione, questi sì preoccupanti”.

La necessità di individuare in tempi brevi uno spazio per lo stoccaggio deriva dal fatto che, entro un anno e mezzo al massimo, la capacità del bosco di Montioni, luogo da quasi vent’anni deputato per il deposito dei gessi rossi, esaurirà la propria capienza. “E non si può rischiare che la proprietà della Venator, che è una multinazionale, non potendo svolgere la propria attività sul territorio decida di trasferirsi. Soprattutto dopo l’investimento stabilito per la costruzione di un nuovo impianto che, nel giro di 4 anni al massimo, dimezzerebbe la produzione di gessi rossi, portandola da 500 mila tonnellate all’anno a circa 250mila”.

Anche sulle presunte richieste da parte dell’azienda di poter utilizzare altri luoghi per lo stoccaggio occorre, secondo i sindacati, fare chiarezza: “La ex cava di Pietratonda è stata individuata perché adatta, per caratteristiche morfologiche, ad ospitare lo stoccaggio di questi scarti. Ed è l’unico luogo individuato da Venator per lo scopo. L’uso dei gessi rossi consentirà il rimodellamento delle forme preesistenti e, mediante i sistemi di ingegneria naturalistica, permetterà di reinserire gradualmente tutte le specie autoctone, ponendo le basi per una progressiva ricostruzione della situazione ambientale pregressa”. Tutto questo nel rispetto di quanto prevede il testo unico sull’ambiente che “… nell’ottica della valorizzazione dei rifiuti – precisano Ferretti, Milani e Capponi – favorisce l’uso dei gessi rossi per il ripristino di cave che richiedono, come Pietratonda, interventi urgenti per la messa in sicurezza”.

Va sottolineato anche, secondo le organizzazioni sindacali, che le acque adesso presenti nella ex miniera di Pietratonda, in quello conosciuto come lago dell’Incrociata, sono essenzialmente piovane, senza nessuna alimentazione esterna. “In queste acque la lisciviazione delle pareti, fortemente mineralizzate e prive di vegetazione, insieme allo strato di sottofondo impermeabile, hanno favorito la presenza nelle acque di metalli pesanti e metalli alcalino terrosi, come dimostrano i solidi sospesi evidenti dalla colorazione biancastra delle acque, dovuta allo presenza di caolino e come dimostrano i controlli effettuati con regolarità dagli enti preposti”.

“Se vogliamo, come è doveroso che sia, mettere al centro la salute dell’ambiente e delle persone – aggiungono i sindacati – dobbiamo tenere conto anche del fatto che la presenza delle aziende del polo chimico garantisce una presa in carico della bonifica delle aree a rischio che, in caso contrario, ricadrebbe sotto la responsabilità degli enti locali e avverrebbe a spese dei cittadini. E a proposito di rispetto per l’ambiente, le due aziende sono certificate Iso 9000, Iso 14000 e Emas”. “Vigileremo – concludono Ferretti, Milani e Capponi – affinché le opere di stoccaggio e bonifica vengano svolte correttamente e, per quanto concerne la realizzazione del nuovo impianto, che ridurrebbe la produzione di scarti, perché questa avvenga nei tempi. Non dimentichiamo, inoltre, che il nuovo impianto comporta la necessità di assumere nuova forza lavoro”.

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