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Entra in azione la figura dell’infermiere di famiglia: in Maremma saranno 36

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Entra in azione la figura dell’infermiere di famiglia: in Maremma saranno 36
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GROSSETO – Una nuova figura, vicina e amica, nello scenario della sanità: è l’infermiere di famiglia e comunità. Nasce un nuovo acronimo: IFC. I primi ad entrare in attività sono, in questi giorni, infermieri esperti e già in organico Asl che hanno seguito appositi corsi di formazione. Poi sarà la volta dei nuovi assunti, 133 nell’intera Asl Toscana sud est. Ci saranno otto infermieri ogni 50mila abitanti: 55 nella provincia di Arezzo, 43 in quella di Siena e 36 in quella di Grosseto.

“L’infermiere di famiglia – ha ricordato stamani Simona Dei, direttrice sanitaria della Asl Tse – è un elemento basilare del sistema socio sanitario toscano, una figura di riferimento per le persone. La sua attività si integra con quelle del medico di medicina generale, del pronto soccorso, dei servizi sociali e territoriali per realizzare un’unica presa in cura delle persone soprattutto fragili e complesse“.

“La nostra Asl – ha aggiunto il direttore generale, Antonio D’Urso – crede fortemente nel ruolo dell’infermiere di famiglia. E l’approccio messo in atto sia dall’Ordine dei medici che da quello degli infermieri, rafforza e convalida questa impostazione: nessun antagonismo ma una sintesi positiva che aumenta la qualità dei servizi per le persona e rassicura l’Azienda sanitaria”.

Giovanni Grasso, presidente dell’Ordine degli infermieri di Arezzo e Coordinatore toscano della categoria, ha sottolineato come “il modello dell’infermiere di famiglia si è positivamente affermato in ogni realtà italiana dove è stato sperimentato. Il confronto con l’Asl Toscana sud est è fondamentale perché il progetto possa ulteriormente migliorare, rafforzando l’integrazione con l’Assistenza Domiciliare e il Medici di medicina generale”.

E il presidente provinciale di questi ultimi, Lorenzo Droandi, ha ricordato “come da anni il nostro Ordine sollecitasse interventi sul territorio, rafforzando soprattutto il personale. Il medico di medicina generale non può fare tutto da solo e l’infermiere di famiglia aiuterà nella cura delle persone e collaborerà alla risposta delle persone che hanno bisogno di essere prese in carico e accompagnate nei loro percorsi di cura”.

La concreta attività dell’infermiere di famiglia e di comunità è stata illustrata da Lorenzo Baragatti, direttore del Dipartimento delle professioni infermieristiche e ostetriche della Asl Tse: “opera sulla presa in carico dei bisogni a tre livelli – spiega. Il primo è il suo rapporto individuale con le famiglie di cui diventa, ovviamente insieme al medico di base, un punto di riferimento personale: un professionista conosciuto e che conosce la famiglia per la quale opera. Il secondo livello è quello di gruppo, attraverso interventi che si rivolgono a gruppi di persone organizzati in funzione di specifici bisogni di salute. Infine il livello comunitario attraverso azioni preventive e educative rivolte alla popolazione. La collaborazione tra più professionalità crea le condizioni per creare un piano assistenziale integrato e personalizzato”.

Il progetto della Asl Tse vede gli infermieri di famiglia e comunità non come un piccolo nucleo di infermieri dedicati a questa attività ma come modalità di lavoro e di assistenza orientate alla persona, alla famiglia ed alla comunità proprie di ogni infermiere operante nei diversi ambiti servizi territoriali.

“Il nostro modello – ha proseguito Baragatti – vede l’IFC prossimo alla famiglia e alla comunità. E’ il professionista che intercetta e riconosce in modo precoce i bisogni latenti della popolazione di riferimento, conosce la rete dei servizi presenti in quello specifico territorio ed è quindi in grado di orientare e facilitare l’accesso appropriato e tempestivo dell’utente a tutti i servizi della rete. L’IFC utilizza la propria competenza e professionalità in ambito educativo, preventivo e curativo per ottimizzare l’utilizzo di risorse e strumenti presenti nella famiglia. Intercetta rapidamente i bisogni, attraverso anche la valutazione degli elementi di rischio, avvalendosi delle risorse di comunità, si fa garante della presa in carico lungo l’intero percorso assistenziale e nella continuità delle cure. Cura il monitoraggio dello stato di salute degli assistiti, mediante visite domiciliari, monitoraggi telefonici, telemedicina, l’educazione dei care giver e svolge programmi di supporto all’autocura consentendo l’accesso precoce ed appropriato ai vari servizi presenti sul territorio, presidia i passaggi di setting assistenziale, con particolare riguardo agli aspetti più critici della continuità delle cure. Persegue gli obiettivi definiti dal nuovo modello di sanità di iniziativa. L’IFC opera secondo una logica multiprofessionale garantita dai piani assistenziali personalizzati per rispondere al bisogno globale del singolo assistito, superando così la logica tipicamente prestazionale, in raccordo diretto con il medico di medicina generale, il medico di comunità, gli assistenti sociali, i professionisti della riabilitazione”.

“Sono ormai anni, decenni, che in ogni singolo congresso, convegno, simposio, tavolo si auspica che il SSN si diriga verso il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della residenzialità, oggi ancora privilegio per pochi con forti disomogeneità a livello regionale”.

A parlare i presidenti degli Ordini professioni infermieristiche della province di Arezzo, Siena e Grosseto: Giovanni Grasso, Michele Aurigi e Nicola Draoli (Consigliere nazionale Fnopi).

“Non è più procrastinabile un cambio di rotta in questo senso – proseguono – anche in funzione di equilibri sociali destinati a scomparire, con la progressiva riduzione di persone giovani all’interno dei nuclei familiari e di una rete sociale e comunitaria sempre più fragile numericamente, economicamente, culturalmente. Finalmente possiamo dire che anche nell’Azienda Usl Toscana sud est si da avvio all’infermiere di famiglia e comunità.

L’infermiere di famiglia e di comunità integra con un ruolo che non è nuovo, ma che ha bisogno di essere formalizzato, sostenuto e reso evidente, preventivo, proattivo e collaborativo, il contributo degli attori delle Cure Primarie, delle Cure Intermedie e della Residenzialità Sociosanitaria, per la salute dei cittadini, collaborando con i Medici di Medicina Generale in primis .

La proattività è caratteristica specifica dell’IFeC e tale aspetto è riconosciuto e promosso dall’OMS  fin dal 1998, nel documento salute per tutti nel 21° secolo, e sostenuto dall’Unione Europea per il raggiungimento degli obiettivi di salute fondamentali allo sviluppo dell’intera società, oggi l’infermiere è un professionista specializzato, competente, responsabile e riconosciuto tale da chi assistiamo.

I dati a nostra disposizione dove il modello è già attivo ci dicono che l’infermiere di famiglia e comunità evita ricoveri impropri, previene e diminuisce le complicanze, promuove auto cura e consapevolezza generando appropriatezza economica oltre clinica proprio partendo dall’educazione al singolo e alle comunità, armonizza i percorsi aumentando fiducia nel sistema e facendo diminuire i contenziosi, ma soprattutto risponde ai bisogni delle persone che dopo brevi esperienze di ospedalizzazione necessitano di lungo supporto assistenziale a volte coincidente con la vita stessa delle persone.

L’infermiere di famiglia/comunità si è dimostrato il professionista che mantiene il più stretto contatto con il cittadino della propria zona di competenza e rappresenta la figura professionale di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica generale in collaborazione con tutti i professionisti presenti nella comunità. E ha un impatto anche nell’attività educativa e di auto addestramento non solo dei pazienti ma anche dei caregiver che sono anch’essi il secondo carico di complessità che si affianca la persona assistita sia per le risorse che per le casse dello Stato.

L’infermiere di famiglia/comunità inoltre può rappresentare una soluzione per quanto riguarda l’assistenza nelle cosiddette “aree interne”: si tratta della cura di oltre un terzo del territorio italiano e la collaborazione tra infermieri di famiglia e di comunità sul territorio – sociale e di cura – per il sostegno in quelle zone che oggi spesso vengono spopolate perché prive proprio di supporti sociali e più in generale di servizi pubblici, rappresenterebbe anche uno strumento utile alla riduzione delle attuali disuguaglianze.

L’infermiere di famiglia è uno dei molteplici e importanti esempi delle competenze sviluppate dalla nostra professione, ma ce ne sono molte altre anche riguardo all’assistenza ospedaliera e nell’emergenza urgenza. Proprio per questo auspichiamo che il Nuovo Patto per la salute sia volano per lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze professionali degli infermieri.

Il limite attuale è che tutto ciò avviene soprattutto in periferia, nelle realtà più piccole e senza un’organizzazione istituzionalizzata che sarebbe necessaria per allargare il metodo anche alle grandi città e alle metropoli e uniformare il modello di assistenza. Come evidenziato dall’OCSE evidenti conflitti di potere tra le professioni ostacolano i processi di cambiamento e solo la competenza dei professionisti, sostenuta da apposita legislazione, può rendere l’applicazione vincente.

Questo chiedono i cittadini. i professionisti, le associazioni, le società scientifiche.
Questo ci indicano gli studi, i dati.
Questo ci chiede oggi la condizione sociale, sanitaria, economica del nostro paese.

Una nota semmai che meriterebbe maggiore considerazione e che la Fnopi ha sottolineato è quella che riguarda la carenza di infermieri, molto evidente così come per altre figure professionali sanitarie, ma che nell’ottica della realizzazione dell’infermiere di
famiglia/comunità (Ifec) assume anche maggior rilevanza.

In tal senso e nell’analisi del processo del modello auspichiamo un confronto costruttivo e continuativo con gli Ordini delle Professioni Infermieristiche e la Direzione Aziendale, per comprendere a pieno come saranno rimodulate ed integrate le attuali attività di Adi, nonché come saranno ridefinite le relazioni con la Medicina Generale che non potranno avere declinazioni differenti tra zone o Aft, dipendenti da singole sensibilità, in un’ottica di integrazione delle linee di indirizzo Conferenza Stato Regioni scaturite dal Position Fnopi e dell’audizione Fnomceo con puntualità.

Così il SST si innova, si rafforza e cambia nella direzione giusta, quella che serve ai nuovi bisogni di salute delle comunità” concludono i presidenti.

Camilla Ferrandi
16 Settembre 2020 alle 15:12
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