Covid19

La storia di Massimo: medico contro il Covid che dopo la malattia è tornato in prima linea

Massimo Pancrazi
Massimo Pancrazi

ORBETELLO – «Con il Covid cambia il concetto di normalità» parla il medico maremmano, Massimo Pancrazi, 42enne orbetellano, che ha combattuto in prima linea contro il virus a Milano nel bel mezzo della pandemia e che poi ha dovuto affrontare la sua battaglia come paziente, vincendola.

E’ tornato a casa in Maremma per una breve vacanza Massimo dopo aver vissuto un vero e proprio inferno personale e professionale negli ospedali di Milano, dove lavora da oltre un anno come medico di pronto soccorso: «I primi allarmi relativi al Covid 19 (che il medico preferisce chiamare con il nome scientifico Sars cov 2) sono arrivati a dicembre, a gennaio è scattata l’emergenza e poi abbiamo avuto notizia dei primi positivi a Bergamo – spiega Pancrazi – da noi a Milano abbiamo iniziato ad avere casi a fine febbraio ma non sapevamo bene come combattere questa malattia fino a quel momento sconosciuta. Dal canto mio posso testimoniare che negli ospedali dove presto servizio l’emergenza è stata gestita bene, il Fatebenefratelli è stato trasformato con reparti covid dedicati e sono rimasti alcuni letti chirurgici per emergenze».

«Una malattia sconosciuta – dice ancora il medico – che abbiamo combattuto seguendo i protocolli che via via ci arrivavano dalla nostra azienda sanitaria, ma ci siamo resi conto presto dell’estrema velocità con la quale si stava propagando e dell’aggressività: uno dei nostri primi casi è stato un paziente 50enne che è deceduto nonostante non avesse gravi patologie».

Del Covid sui bambini, nonostante non se ne sia occupato in prima persona, il medico puntualizza: «Come mi è stato riferito da colleghi pediatri, i bambini non sono immuni, infezioni gravi sono meno frequenti ma sono un’evenienza possibile. Ci sono stati casi di 20enni che hanno superato la malattia ma con estrema difficoltà, anche tanti miei colleghi che sono finiti in rianimazione e poi è toccato a me».

«Per quanto mi riguarda – racconta Pancrazi – non ho avuto bisogno del ricovero, ma, oltre a essere stato male, ho affrontato il Covid in completo isolamento e ho conosciuto l’altro aspetto della malattia, quello psicologico che influisce molto e abbatte ancora di più i pazienti: la solitudine. Personalmente ho potuto contare sulla mia rete di amici e colleghi che mi hanno assistito portandomi medicinali e viveri, ma ero solo e pensavo all’eventualità di morire visto che in tanti non ce l’avevano fatta, però mi sono concentrato su altro, per me ha prevalso la volontà di tornare in prima linea accanto ai miei colleghi a prendermi cura dei nostri pazienti».

«Di questa esperienza – aggiunge il medico – non dimenticherò mai l’immagine di corsie piene di malati legati ai caschi, ai quali prestavamo aiuto anche per videochiamare le famiglie e tenerli su di morale, del mio senso d’impotenza: a un certo punto, una volta impostata la terapia, non rimaneva che pregare, vedere una persona che non respira e muore è terribile».

«Oggi – conclude Pancrazi – abbiamo nuove cure più efficaci, è un’arma in più contro il Covid, ma questo non ci deve far abbassare la guardia. E’ necessario prestare attenzione ai sintomi, particolarmente attraverso la misurazione delle temperature, continuando a stare distanziati, a utilizzare le mascherine e a fare attenzione all’igiene, particolarmente quello delle mani. Non è possibile tornare alla normalità, ma dobbiamo imparare a vivere “normalmente attenti”».

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