GROSSETO – «È stata imposta una modalità di lavoro agile senza che vi sia, a carico dell’azienda, un obbligo di legge, né in via generale né nello specifico, a favore del lavoratore che si è rivolto al Tribunale» così l’avvocato Roberto Baccheschi, a nome dell’azienda Enegan, commenta la sentenza del giudice che impone di consentire ad un dipendente, affetto da alcune patologie, di lavorare da casa.
«Sia chiaro che Enegan osserverà quanto disposto dal giudice, ma insieme all’avvocato Luca Tartaglione di Firenze, che assiste insieme a me Enegan, si è già iniziato a lavorare al reclamo, perché l’ordinanza è a nostro parere ingiusta. Enegan è un’azienda da sempre attenta alla salute dei propri dipendenti, per i quali ha creato un sistema di welfare aziendale che ha pochi paragoni sul territorio nazionale: la sede di Grosseto è uno dei pochissimi edifici in Italia classificato in classe A4, con un sistema di climatizzazione a tre vie che consente un’altissima purificazione dell’aria».
«L’intero edificio è stato interamente sanificato, insieme all’impianto di climatizzazione, sin dal 18 marzo, e subito sono stati forniti ai lavoratori i presidi di sicurezza come dispenser igienizzanti, mascherine e guanti, distanziando le postazioni di lavoro ad oltre un metro l’una dall’altra – prosegue Baccheschi -. Enegan, inoltre, che occupa oltre 200 dipendenti, non ha ritenuto sino ad oggi di fare ricorso alla cassa integrazione, che avrebbe determinato una decurtazione dello stipendio e tempi lunghi per il pagamento».
«In ossequio alla normativa governativa in tema di Covid19, Enegan ha mantenuto in azienda pochissimi lavoratori, quelli essenziali, e gli altri hanno potuto usufruire di ferie, permessi o di lavoro agile, a seconda delle mansioni e dei settori produttivi ed operativi cui erano addetti, per mantenere l’efficienza aziendale e preservare il core business dell’azienda e, in ultima analisi, per preservare i posti di lavoro».
«Il legislatore non ha imposto con alcuna norma che le aziende siano obbligate a disporre il lavoro agile; ha consentito alle aziende, sino al 3 di maggio (scadenza delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza Covid19) di scegliere tra due opzioni tra sé fungibili e cioè far fruire al lavoratore ferie o permessi, ovvero adibirlo al lavoro agile. La decretazione governativa raccomanda e consente la scelta tra tali opzioni, e non prevede alcun obbligo di disporre il lavoro agile piuttosto che il collocamento in ferie: perché un tal obbligo sarebbe non solo contrario a norme costituzionali (art. 41 in tema di libertà dell’iniziativa economica privata), ma anche alla Legge 81 del 2017 che prevede l’accesso al lavoro agile su accordo “volontario” di entrambe le parti».
«Se c’è imposizione non c’è volontà per almeno una delle due parti; e se c’è obbligo, non c’è più libertà per l’impresa di organizzare la propria attività economica. E neppure si può sostenere che la salute del lavoratore che ha fatto ricorso, affetto dalla patologia indicata nell’articolo, sia stata messa in pericolo, poiché l’azienda, allorché ha avuto contezza di detta patologia, lo ha collocato in ferie, nel pieno rispetto della normativa, anche costituzionale, vigente».
«Se al lavoratore non è stato consentito di lavorare in smart working è solo perché, quando è rientrato dalla malattia, l’Azienda aveva già da tempo predisposto il proprio programma operativo, da cui lo stesso era stato escluso proprio perché in malattia. Ma soprattutto il settore aziendale in cui lavoratore svolge le proprie mansioni ha subito, in forza della normativa Covid19, una riduzione di operatività».
«Infine, Enegan rileva che al lavoratore è stato chiesto di fruire delle ferie come a tutti gli altri colleghi, a rotazione, e che tutti hanno accettato di buon grado tale pianificazione, mostrando condivisione, solidarietà ed empatia con l’Azienda impegnata a tutelare il loro posto di lavoro in un momento così delicato per il Paese» conclude l’avvocato Roberto Baccheschi.