Attualità

#tiromancino – Governo Conte Due (la vendetta). il bestiario del sentiment politico dei maremmani

Tiro Mancino

GROSSETO – Al largo per scelta consapevole dai commenti politici tout court, il #tiromancino si concede dall’inizio un unico lusso dovuto alla tormentata passione di chi scrive per le cose della politica. In occasione di elezioni, referendum costituzionali o, come in questo caso, nomine di governi.
La formula eterodossa, in omaggio a Giampaolo Pansa (quando era in sé), è quella di un “Bestiario” del sentiment politico dei maremmani rispetto alla imprevedibile nascita del governo Conte Due (la vendetta). Operazione azzardosa il tanto che basta, e per questo ancor più appassionante.

Salvinidi. Non si poteva che iniziare da loro, ça va sans dire. Sono giorni di tregenda, costernazione e stupor. Perché anche nella Maremma vacanzifera, passare da predestinati, onusti di gloria e prebende, alla parte in commedia dei servi sciocchi di un capitano transato “hic et nunc” a caporale di giornata, è stato scioccante e truculento. Bersaglio di frizzi, lazzi e sguaiate prese per il culo, non è stata per costoro un’esperienza edificante.
Anche perché il nostro eroe delle Ong s’è comportato come un capitano Alfred Dreyfus masochista, che si degrada da solo con compiaciuta incompetenza. Offrendo il destro a un anodino Giuseppe Conte, che dagli scranni governativi del Senato, poggiandogli curiale la manina sulla spalla, gli ha fatto con postura melliflua «un culo come una manica di cappotto». Il cui calibro notevole, oltretutto, il capitano se l’era confezionato da sé medesimo (direbbe l’appuntato di polizia Catarella).
Passati per Medjugore, il rosario e il cuore immacolato di Maria, i Salvinidi hanno infine cercato riparo e ristoro a Lourdes. Ma trovonno chiuso.

Legaioli della prim’ora. Inveleniti come pochi altri per il tradimento della primigenia vocazione secessionista, unica e fondativa identità del leghista tutto d’un pezzo, i Legaioli della prim’ora se la godono alla grande. E tra pochi giorni allestiranno uno stand autonomo al festone di Pontida, dove mesceranno acqua del Po opportunamente depurata. A marcare le distanze da quelle fighette dei nazionalisti/sovranisti padani.
Alla ricerca spasmodica di altre piccole Patrie con cui allearsi, hanno capito che gli Ungheresi sono gente infida.

Maronisti. La nutrita ala democristofila della Lega maremmana si contorce in indicibili ambasce. Transitata armi e bagagli con alacre tempismo ai tempi del declino forzitaliota, nella malcelata convinzione di aver trovato in Salvini una scialuppa da colonizzare, oggi l’ala maronista maremmana guarda con sgomento alle prove prossime venture. Quando armati di pochette e Hoogan saranno chiamati dal capo a presidiare piazze a loro estranee, contro il complotto plutocratico-giudaico-massonico ordito ai loro danni a Bruxelles.
Terrorizzati all’idea che polizia e carabinieri, in linea con le non abrogate direttive del fu ministro dell’interno, li schedino e gli sequestrino i foulard di Hermès che brandiranno per protesta.

Grillidi. Impatassati dal cambio di direzione imposto “sic et simpliciter” dal padre fondatore Peppe il Grillo, che li ha elevati senza preavviso a difensori della patria dalle orde barbariche leghiste, si sentono mancare la terra sotto i piedi. Costretti a un confronto di merito sui provvedimenti di governo con gl’infidi Piddini – nemici di classe assurti al rango di compagni di viaggio – si sono affidati come estrema ratio a Peppe il Conte. Il premier double face, epigono dell’uomo senza qualità di Robert Musil, che ha però la qualità esimia di parlare un italiano ampollosamente corretto. Ed è in grado di sostenere una discussione educata e forbita senza peraltro dir nulla di politicamente significativo. Lo Zelig ideale per traghettare Di Maii e Toninellidi dell’arcipelago grillino nel mondo borghese delle buone maniere e delle regole costituzionali.
In cerca di un vaccino contro il populismo, sperando non sia un effetto placebo.

Grilli talpa irriducibili. Capitanati dal cripto-leghista Paragone, già conduttore del preveggente programma “La Gabbia” (di matti), gl’irriducibili no-vax, no-tap, no-tav, no-autostrada, no-geotermia, no-inceneritore e no-ognibendidio, stanno preparando un’astuta e imprevedibile alleanza con Terrapiattisti, Pastafariani, sciatori chimici, creazionisti, interlocutori d’alberi e cespugli….Con l’obiettivo di minare alle fondamenta il Governo Conte e riportare il movimento sulla «retta via ch’era smarrita».
Avvistati nei boschi di Magliano avvolti in tuniche fuxia e riuniti in circolo. Con al centro un non meglio identificato personaggio mascherato che sproloquiava rivolgendosi alla luna piena.

Piddisti. Dissanguati dalla perenne richiesta di senso di responsabilità, anche stavolta hanno fatto di necessità virtù. Impauriti dalle prospettive economiche e angosciati dalla violenta imprsentabilità della destra salviniana, in assenza di certezze i tapini Piddisti hanno obbedito al riflesso condizionato cui li riconduce un’antica cultura politica.
Satrapo di queste truppe sparpagliate ma tenaci, è il segretario Nicola Zingaretti. Una sorta di frate trappista che si aggira silenzioso e dolente nei meandri della politica italiana, conscio del delirio che gli è toccato in sorte di governare.
Sull’uomo le indiscrezioni narrano di una dote insospettata: la dotazione elargitagli da madre natura di due gonadi dalle dimensioni sorprendenti. Che il nostro, morigerato e fedele marito, ha imparato ad utilizzare non per imprese boccaccesche, ma per sopportare impassibile in primis le molestie inenarrabili di Matteo Renzi e in secundis di un gruppo dirigente correntizio, riottoso e non di rado autoreferenziale. Come noto, infatti, il Partito democratico, è costituito da un arcipelago di scienziati della politica con vocazioni governiste, rivoluzionarie, moderate, maggioritarie, proporzionali, di sinistra vera ma anche lib-lab, quando non mercatisti. Insomma una brigata anarchica.
Oppresso dal fardello della responsabilità, l’eroico Zingaretti va contronatura alla battaglia finale per dare vita ad un governo non “suo”, ma al quale non si sottrarrà per lealtà e senso del dovere.
Euforici ma depressi, in cerca di una terapia bilanciata, i Piddisti sperano di non sacrificarsi ancora invano.

Renzoidi. Tronfi come mai prima d’ora, si godono l’ennesimo coup de théâtre
orchestrato dal magico “number one”, Matteo Renzi. In appena quattordici mesi hanno buttato a mare 6 milioni di voti (non avevano capito). Poi hanno soffocato nella culla l’apertura per andare a vedere le carte al M5S, indi si sono messi a sgranocchiare pop-corn. Dopodiché hanno lanciato sdegnosi l’ashtag #noninmionome, per compiere subito dopo un carpiato con avvitamento triplo. Aprendo con profferta magnanima al dialogo coi Grillidi per formare un governo, nel quale in prima battuta hanno sostenuto di non voler loro ministri. After which, nel tempo in cui «un gatto dura sull’Aurelia», hanno solerti presentato il conto con la lista dei nomi. Ovviamente nel generoso sacrificio di sé per il “benaccio” del Paese.
Come direbbe Freddie: show must go on!. L’importante è occupare la scena, sopravvivere agli eventi, e offrire agli opinionisti materiale per bizantineggiare sulle sopraffine qualità tattiche del capo. Che, gli va riconosciuto l’onore delle armi, rispetto all’altro Matteo, gemello diverso, ha tutt’altra raffinatezza estetica. Il canovaccio della Vaudeville renziana, d’altra parte, è così: «io so’ io, e voi nun siete un cazzo».
Ciononostante fra i dubbiosi dell’ortodossia in silenziosa espansione, comincia ad allignare il sospetto: non è che Matthew nella sua smania di protagonismo rischia di essere un “Re Mida all’incontrario”. Che trasforma in merda tutto quel che tocca? E che macina persone e scenari politici pur di avere un ruolo?
In attesa del prossimo rilancio. Anche se orami tutti sanno che il mazzo è truccato

Forzitalici. Il vecchio Sardanapalo della politica italiana vive una nuova giovinezza, ringalluzzito dalla sentenza della Cassazione che penalizza la povera Veronica Lario.
Una volta smascherato il grande bluff del leghismo di governo, Sirvio ha subito colto l’occasione per una spettacolosa operazione di palingenesi. Da monopolista televisivo e self made man della politica autocratica in perenne conflitto d’interessi, a inverosimile campione di liberalismo. Interprete autentico della più volte abortita destra costituzionale e filoeuropea. Una conversione a U mirabile quanto incredibile e fondata sull’autocertificazione.
Sul viale del tramonto, ma a bordo di una Limousine immaginaria.

Fratelli italioti. Loro è una delle metamorfosi più pirotecniche di tutte, indotta dalla cascataccia dell’amico/competitor Matteo Salvini. Col quale ingaggiano spesso tenzoni di rutti e scoregge.
La sulfurea, vociante e mussolinide Giorgia Meloni – attonita come una creatura che rinviene in soffitta un giocattolo sconosciuto – ha infatti scoperto d’un tratto le garanzie e le procedure costituzionali. Fra le quali il diritto a manifestare in piazza per il popolo destro. Diritto beffardamente dileggiato quando esercitato dai komunisti.
Alle prese con il compendio degli articoli costituzionali commentati col metodo Montessori. Regalatole da un Sergio Mattarella con le lacrime agli occhi per la commozione.

Mattarelli. Partito quirinalizio trasversale in enorme crescita, affiliato senza tessera al presidente della repubblica Sergio Mattarella. Nume tutelare dell’ortodossia costituzionale e del buon senso perduto, percepito come unica certezza nei marosi della cialtronesca politica italica. Anche fra coloro che recentemente hanno votato a cazzo di cane
Sgomento della “batracomiomachia” [guerra dei topi e delle rane] cui è costretto ad assistere, preso atto dello stato gassoso di Salvini e tentato dal desiderio di rifilare una labbrata a Di Maio, l’assertivo palermitano combatte una battaglia solitaria utilizzando l’arma incruenta della stima degli Italiani.
In ansia da prestazione, perché consapevole che fare il Salvator mundi sarebbe cosa ridicola. E ciononostante sarebbe esiziale sbagliare una mossa

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