L'opinione

#tiromancino: Maremma ai margini dello sviluppo, ora , “dopo fochi” lo dicono (quasi) tutti

Tiro Mancino

Se Cristo s’è fermato a Eboli, in Toscana la ripresa economica s’è fermata a Pisa. Livorno, ma molto di più Grosseto e la Maremma, rimangono brutalmente in disparte. Un mondo a sé stante, avvinto da una lunga crisi che procede per spasmi, senza che s’intraveda manco una flebile luce in fondo al proverbiale tunnel. Nel suo piccolo il #tiromancino, purtroppo, da due anni sostiene che c’è un allarme rosso legato al collasso demografico e all’immobilismo dettato dai campioni del “not in my backyard” (non nel mio cortile). Oggi arrivano conferme di gran luna più autorevoli dal Rapporto Irpet sull’economia della Toscana e da quello annuale della Camera di commercio della Maremma e del Tirreno, che certificano in modo inequivocabile la debilitazione strutturale del nostro territorio, in termini economici ma anche sociali e culturali.

A questo giro col #tiromancino non vorrei entrare come di consueto nel dettaglio dei numeri più recenti, che pure sono determinanti per comprendere, per i quali ci sarà modo e tempo, quanto tentare d’individuare le responsabilità culturali di questo stato delle cose – che a volte coincidono con quelle politiche, a volte no. E provare anche a guardare alle minacce che ancora non sono pienamente intelligìbili. La più incombete delle quali è il consolidamento pericolosissimo della divaricazione tra quella minoranza di popolazione residente che ha a disposizione ingenti risorse economiche (spesso rendite) e la maggioranza sempre più marginale e impoverita. È una dinamica diffusa e ampiamente studiata, ma tanto più pericolosa e foriera d’incattivimento sociale in un territorio già di per sé sprovvisto di coesione e di motori economici dinamici, in grado di creare valore aggiunto e redistribuire ricchezza attenuando la polarizzazione di fondo ricchi/poveri, garantiti/esposti a ogni tempesta.

Considerato che, più o meno, un terzo della popolazione lavora, un terzo è pensionata, un terzo è disoccupata, che la disoccupazione non cala, l’export rimane residuale e che i lavori stagionali e part time incidono drammaticamente sullo stock di occupati, c’è di che battere i denti dalla paura. Perché se è vero che “in tempo di miseria è bono anche il pan di veccia”, il problema è che non siamo più culturalmente attrezzati a sopportare le conseguenze della miseria. Che spaventa più di qualunque altra cosa.

Una situazione che, tipicamente, è terreno ideale di coltura per chiusure identitarie a riccio, evocazione di nemici esterni, difesa corporativa dello status quo. Manifestazioni patologiche di questa malattia oramai ampiamente incubata dalla Maremma, sono la subcultura anti moderna e ferocemente anti industriale. L’idea inconsistente e consolatoria di vivere nel più bel territorio del mondo. Il riflesso pavloviano contro i nuovi arrivati che minacciano un immaginifico status socioeconomico. L’ottusa contrapposizione fra i presunti interessi di territori (Comuni) contigui, che perpetra la logica suicida del “mors tua, vita mea”. Insomma – nella consapevolezza di tagliare i concetti con l’accetta: la guerra all’autostrada, a Siena e Firenze, all’incenerimento degli scarti della lavorazione dei rifiuti, alla geotermia, all’eolico, allo stoccaggio dei gessi rossi, all’agricoltura idroponica, alle biomasse, all’arrivo dei migranti economici, all’introduzione di meccanismi di concorrenza in alcuni settori economici, all’ampliamento dei bacini portuali, persino all’arrivo di nuovi charter turistici all’aeroporto civile. Quasi sempre a prescindere dal “come”. Con una politica così miope che ogni volta, complice la tornata elettorale incombente, cavalca il comitato più promettente in termini di possibile consenso. Come nel caso dell’improbabile alleanza tra destra, cinquestelle e “radical chic” capalbiesi di sinistra, in certi frangenti blanditi magno cum gaudio, affratellati dalla santa alleanza contro il nastro d’asfalto autostradale (circa 27 metri di larghezza a fronte dei 24 della quattro corsie). Ma giusto per citarne una.

La novità è che da qualche tempo – salvo gli entusiasti pro domo propria – sembra avanzare la consapevolezza che la situazione stia diventando insostenibile. Forse i 4 morti per ciascun nato registrati lo scorso anno sull’Amiata, hanno cominciato ad aprire gli occhi a qualcuno.

Salvo l’errore esatto e contrario di sdoganare qualunque cosa col pretesto che “la qualsiasi” porti sviluppo, tipo una nuova stagione di speculazione edilizia nelle aree pregiate della costa, speriamo solo il risveglio non sia avvenuto troppo tardi. Che altrimenti la recessione vista finora, fra vent’anni sarà ricordata come l’età dell’oro. Visto che “in natura tutto pol’esse, forché l’omo pregno”.

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