L'opinione

#tiromancino: Lavoro. L’Italia perde laureati. Le aziende maremmane non ne trovano

Tiro Mancino

Il Belpaese perde per strada creatività e capitale umano, leggasi laureati: nel 2016 il tasso migratorio specifico è stato brutalmente negativo, con un secco -10.000 unità (rapporto tra saldo migratorio dei laureati nella fascia di età 25-34 anni e stock di laureati pari età residenti in Italia).

Parallelamente nel 2017, in provincia di Grosseto, le aziende dicono di non essere riuscite a trovare circa il trenta per cento dei laureati che volevano assumere: 180 sui 580 totali che l’anno scorso avrebbero in qualche modo potuto contrattualizzare. Nonostante quelle dei laureati fossero solo il 3,5% delle assunzioni previste in Maremma lo scorso anno.

A dirlo, nel primo caso, il “5° Rapporto Istat sul benessere equo e sostenibile” (Bei ndr). Nel secondo l’indagine si Unioncamere sui “Fabbisogni occupazionali e formativi delle imprese nell’industria e nei servizi rilevati dal sistema camerale in provincia di Grosseto”. Due analisi diverse fra loro, ma che hanno in comune la caratteristica di mettere in luce inefficienza e inefficacia dell’allocazione nel mercato del lavoro della preziosissima risorsa dei laureati. Per formare i quali l’Italia spende più o meno il 4% del proprio Pil (dato Ocse). Una preoccupante mancata corrispondenza – “mismatch” dicono i gestori delle risorse umane – tra domanda e offerta di lavoro. In questo caso costoso lavoro qualificato, trattandosi di persone che hanno conseguito una laurea.

A voler essere catastrofisti ci sarebbe di che disperarsi, anche perché quello di un mercato del lavoro che brucia le migliori competenze, spingendole verso altri lidi, è un problema serissimo. Che a sua volta costituisce il sintono della preoccupante patologia generale di cui soffre il sistema Paese, del quale la provincia di Grosseto è un tassello.

Nell’analisi dell’Istat il “Bes” (benessere equo e sostenibile) è analizzato attraverso dodici “domini” che lo determinano; a loro volta misurati attraverso 129 indicatori. Uno di questi misura la capacità dell’Italia di trattenere i talenti, utilizzando come indicatore di mobilità il tasso migratorio specifico di chi è laureato. Cioè a dire il rapporto tra il saldo migratorio dei laureati e il corrispondente stock di residenti laureati nella classe d’età 25-39 anni. Analisi limitata ai soli soggetti di nazionalità italiana per motivi di omogeneità qualitativa.

Nel 2016, quindi, il saldo migratorio dei giovani laureati italiani è stato di –4,5 per mille laureati residenti, equivalente in numero assoluto a 10.000 persone. Tasso che è quasi raddoppiato rispetto al 2012, quando era -2,4 per mille. Il Belpaese vede quindi aumentare la fuoriuscita di giovani altamente qualificati e con competenze specialistiche.

Anche in questo caso l’Italia è divisa in tre. Il Nord ha un saldo complessivo positivo, +7 per mille nel 2016, e attrae o trattiene flussi migratori qualificati anche a fronte di rilevanti migrazioni con l’estero: +11 per mille il saldo interno a fronte -4 per mille con l’estero. La vera sorpresa è che il Centro Italia – dove si colloca Grosseto – ha avuto nel 2016 un saldo negativo in sensibile peggioramento (-2,4 per mille), con le migrazioni interne a malapena positive. Tragica, come da copione, la situazione nel Mezzogiorno, negli ultimi 5 anni costantemente in perdita tra -20 e -24 per mille. Sia nei movimenti interni che con l’estero.

Appena due le regioni decisamente in attivo, Emilia-Romagna e Lombardia, che guadagnano il 14/15 per mille, ma solo grazie ai movimenti interregionali perché il saldo estero è negativo.

Il confronto con il complesso della popolazione italiana, infine, sottolinea la maggiore propensione alla mobilità da parte dei laureati, con un valore del tasso migratorio complessivo a meno della metà di quello dei laureati (-1,7 per mille nel 2016).

Concludendo: viviamo in un Paese che sta buttando dalla finestra il proprio capitale umano, che potrebbe essere motore di innovazione e creatività. Patrimonio che in parte consistente contribuisce a fare la fortuna di altre società in altri Paesi. Non che cambiare Paese di residenza possa essere considerata una colpa. Tutt’altro. Ma, anche considerando il calo dell’immigrazione di laureati, rimane il problema di capire perché l’Italia non è più terra attrattiva di giovani intelligenze. Considerando soprattutto il fatto che il benessere delle società per i prossimi anni sembra avere una correlazione stretta con l’ampia disponibilità di competenze elevate.

Variante locale della stessa patologia, è la difficoltà delle imprese grossetane – escluso tutto il settore pubblico – a trovare laureati con le caratteristiche richieste (20,2% delle assunzioni considerate difficili) nonostante il numero esiguo di assunzioni di laureati previste lo scorso anno sul monte totale: appena il 3,5%. Stando all’indagine di Unioncamere sui “Fabbisogni occupazionali e formativi delle imprese nell’industria e nei servizi rilevati dal sistema camerale in provincia di Grosseto”, peraltro, nel 2016 fra Pisa, Siena e Firenze si sono laureati 18.061 studenti. Ai quali in termini di offerta andrebbero aggiunti tutti quelli degli anni precedenti.

La qual cosa, in definitiva, significherebbe che non sono tanto i laureati a mancare, quanto ci sarebbe una difficoltà a reperirne di adeguati ai bisogni aziendali, mettendo in evidenza il corto circuito della collocazione geografica di domanda e offerta.

In provincia di Grosseto, ad esempio, i più difficili da trovare sono i titolari di lauree ad indirizzo scientifico-matematico-fisico, geo-biologico- biotecnologie (100% difficili); ingegneria elettronica e dell’informazione (80% difficili). Ad aumentare le difficoltà di reperimento, peraltro, concorrono anche variabili di tipo qualitativo come ad esempio l’esperienza richiesta, le conoscenze linguistiche necessarie per lo svolgimento della mansione, le competenze digitali e così via.

Insomma, i problemi sul tappeto sono molti. E fra gli altri sul piano locale c’è da capire se l’offerta del polo universitario grossetano è adeguata alle richieste del mercato del lavoro (non solo locale). Provare a nasconderli sotto il tappeto non sembra la scelta più lungimirante.

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