
GROSSETO – E’ difficile pensare che una città tanto martoriata dal dolore e da una guerra etnica e religiosa possa ospitare, esempio pressoché unico, luoghi di culto così diversi. E invece nella Old Town, a poche centinaia di metri l’una dall’altra, quattro religioni convivono pacificamente, con i fedeli ai rispettivi credo che si incrociano giorno dopo giorno. Sarajevo è chiamata la Gerusalemme d’Europa e non è un caso.
Praticamente azzerata durante la guerra, la popolazione ebraica si è ridotta a 700 unita. La sinagoga Ashkenazi, accanto all’Accademia delle Belle Arti, sulla sponda sinistra (quella meno conosciuta) del fiume Miljacka, ospita il gruppo di devoti nelle preghiere del venerdì sera.
Ad appena cinquecento metri di distanza, attraversato il ponte, s’incontra la Cattedrale del Sacro Cuore, la chiesa cattolica più importante della città, in stile neogotico, risalente al 1884.
Proseguendo sulla Mula Mustafe Baseskjie, bastano due minuti a piedi per incontrare un’altra cattedrale, questa volta serbo ortodossa. Dedicata alla natività di Gesù, ha cinque cupole: lussureggiante negli interni è una delle più grandi della penisola balcanica.
Sarajevo è però una città musulmana, per capirlo basta ascoltare i canti dei muezzin che risuonano cinque volte al giorno, come richiamo alle preghiere: il primo quando il sole deve ancora sorgere, l’ultimo dopo il tramonto. La Old Town è piena zeppa di moschee, quella di Gazri Husrveg-beg svetta nel quartiere con il suo minareto visibile ovunque e che dopo il tramonto diventa incredibilmente suggestivo: è praticamente a metà strada, non più di 200 metri, tra la cattedrale cattolica e quella ortodossa. In teoria durante le preghiere non è aperta ai visitatori, ma Sarajevo non è Istanbul e comportandosi rispettosamente l’accesso alla moschea viene solitamente consentito. Anzi non è raro essere invitati dai fedeli a sedere accanto a loro nella preghiera, in un clima di grande accoglienza.
Completato il tour religioso una curiosità tipica della città è rappresentata dalla partita con gli scacchi giganti che quotidianamente si gioca nell’angolo di una delle piazze più famose della città, piazza Alija Izetbegovic. Neppure la neve e il gelo che muovendo le pedine senza muoversi si fa sentire ferma, in pieno inverno, gli accaniti appassionati dell’antico gioco. E attraversando il primo ponte che s’incontra, poco dopo la sinagoga prima visitata, è curioso osservare da fuori il Parlamento della Bosnia Erzegovina, per rendersi conto quanto poco appariscente sia rispetto agli standard italiani.
Dopo aver testato il burek, il consiglio alimentare del giorno è quello di provare l’altra specialità tipica della Bosnia, i cevapcici, salsicciotti di carne di manzo speziata, racchiusi all’interno di una pita e serviti insieme al kaymak, una crema di formaggio anch’essa dentro la piadina. Magari accompagnati da un bicchiere di yogurt greco. Il ristorante Zeljo è tra i migliori per i cevapcici, cinque euro bastano per un pasto completo.