Ecco come la miniera ha cambiato Gavorrano: flussi migratori e nascita delle frazioni

miniera gavorrano

a cura di Piero Simonetti

GAVORRANO – La miniera di pirite, fin dall’inizio della sua attività (1898), rappresentò una risorsa inattesa per l’occupazione lavorativa dei gavorranesi. Le vicende storiche registrano almeno due fasi immigratorie nel territorio di Gavorrano, una definita “locale” e l’altra “nazionale”, scaturite proprio dall’offerta lavorativa mineraria.

Il grosso della mano d’opera, specialmente per il lavoro nel sottosuolo, venne ben presto ad esser costituito da immigrati provenienti da aree confinanti (Val di Cecina) o comunque della provincia di Grosseto (Massa Marittima, Boccheggiano ed Amiata).

In seguito – sempre nella prima metà del XX secolo – si verificò una immigrazione ben più intensa con l’arrivo dei sardi (Canu, Murgia, Anedda, Piscedda, Casula, Cerina, Crobeddu, Uccheddu), dei siciliani e calabresi (Focoso, Cacace, Caiolino, Caruso, Bromo ed altri), dei diversi veneti Olivotto, Dall’Acqua ed altri nuclei familiari dalle Marche e dalla Romagna.

A Bagno di Gavorrano esiste ancora un’area urbana chiamata localmente “Cabernardi”, in riferimento evidente al numeroso gruppo di immigrati che arrivò dalla zona di Sassoferrato presso Ancona, ove esisteva la miniera di zolfo appunto in località Cabernardi (Ca’ Bernardi, ossia case fatte dai fratelli Bernardi, fondatori del paese omonimo nei primi decenni del 1800. Oggi a Cabernardi vivono 250 persone; un secolo fa – a miniera attiva – erano 2.850 i soli dipendenti che vi lavoravano).

La Direzione della miniera di Gavorrano realizzò quindi veri e propri centri abitati per i tantissimi operai arrivati, inizialmente ospitati nei leggendari “Camerotti”. Nacquero così le borgate di Filare, Bagno, Forni, ognuna delle quali conserva ancora la forma estesa “di Gavorrano”, nel senso di appartenenza per genesi quasi filiale derivata dal lavoro in miniera.

Alcune cifre. Nel 1951 solo a Gavorrano capoluogo c’erano 442 famiglie residenti, delle quali il 70% con almeno un componente al lavoro in miniera, il restante 30% svolgeva attività agricole e commerciali. L’87% degli uomini che lavoravano in miniera era coniugato. Il 50% delle famiglie residenti non erano originarie di Gavorrano e, con un valore medio del 45 %, neanche maremmane.

Numeri questi che hanno prodotto nel tempo un sensibile e naturale calo del senso di appartenenza a precisa identità paesana, fenomeno che invece non si è rilevato nelle frazioni gavorranesi non coinvolte significativamente dall’immigrazione mineraria, come in Caldana, Giuncarico e Scarlino. Episodi di integrazione difficoltosa con la popolazione locale sono nelle cronache dei tempi e nella memoria locale, specialmente nel periodo 1920 – 1950, risoltisi comunque in tempi brevi e senza particolare incidenza sociale.

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