ETIOPIA – Inaugurato a Sheraro, nel nord Tigray a confine con l’Eritrea, l’ospedale che ha preso il nome dal filantropo maremmano Mario Maiani. Tantissime le persone presente, donne e bambini che hanno intonato canti e danze vista l’importanza di un’opera come questa. Nell’ospedale sono operativi ora 50 posti letto, due sale chirurgiche, sei ambulatori e tanti servizi dotati delle attrezzature più moderne per servire un territorio di 200.000 abitanti che vivono in baracche e capanne in zona infiammata dalla guerra. I delegati hanno testato anche l’altro ospedale di Maiani costruito nel 2010 nella vicina cittadina di Adigrat e che negli ultimi sei mesi ha raggiunto finalmente e per la prima volta nella storia etiopica l’indice zero di mortalità infantile.
All’inaugurazione era presente una delegazione grossetana tra le massime autorità etiopi, dal presidente del Tigray Abay Woldu al ministro della sanità Hagos Godefay e al suo predecessore Gebreab Barnabas, il sindaco Tadese, il direttore del nuovo ospedale dr. Isayas, molti generali dell’esercito etiope, insieme al professor Aldo Morrone del San Camillo di Roma e la onlus Iismas, beneficiaria di Maiani, col suo presidente Vulpiani. «Maiani – dice Mario Amerini collaboratore di Mario Maiani e alla guida della delegazione in Etiopia – mi ricordava con una punta di amarezza come, nel 1936, lui appena undicenne, la sua maestra lo usasse in classe per esaltare l’impresa bellica italiana in africa orientale e appuntare bandierine sulla mappa dell’Etiopia e proprio sulle città di Adigrat e di Shiré conquistate dall’avanzata del nostro esercito occupante. Oggi Maiani si è rivalso, e anzi, conoscendo bene la sua schietta ironia, oserei dire che si è proprio bonariamente e lucidamente “vendicato”, trasformando quelle due bandierine in due ospedali, un gesto di riconciliazione storica fra due popoli, italiano e etiope, che per noi vale più della nostra recente restituzione della Stele di Axum».
L’ospedale di Sheraro assiste anche alcune decine di migliaia di rifugiati eritrei alloggiati in due campi profughi lì vicino e che la delegazione italiana ha visitato grazie alle autorizzazioni ONU e preso a cuore con un piano di monitoraggio. «L’opera di Maiani è tutt’altro che una mera azione da librocuore – dice il professor Morrone direttore generale del San Camillo di Roma e pioniere dei soccorsi agli sbarchi di Lampedusa – è la risposta razionale a chi ci chiede di contenere i fenomeni di migrazione verso l’Europa. Il Maiani Hospital di Sheraro indica soprattutto ed in modo sistematico il metodo che l’Europa deve adottare: creare servizi e benessere laddove partono i flussi per contenerli… questa è la priorità strategica e noi, grazie a Maiani, l’abbiamo messa in moto»
Maiani non c’è più (a fianco una foro del benefattore maremmano). Ci ha lasciato nel 2012. Ma le sue opere restano e dopo questa ottava opera a Sheraro fra pochi mesi prenderà il via anche il nono ospedale in Congo e il decimo in Camerun a completare così un percorso virtuoso che sta arruolando, intorno alle nuove opere sanitarie del grande benefattore maremmano, le migliori professionalità e i migliori giovani volontari di mezzo mondo.