Note (poco) note: quando la musica viene dal cuore

a cura di Giovanni Lanzini

GROSSETO – Ho un amico medico, uno stimato professionista, che non aspetta altro di arrivare al venerdì sera per fare “la prova” con i suoi amici, appassionati come lui di musica rock. E’ un momento importante, un suo spazio sacrosanto e irrinunciabile che lo scarica dallo stress e dalle tensioni di una settimana di lavoro e al tempo stesso lo arricchisce di puro divertimento e soddisfazione quando finalmente riesce a tirar fuori una melodia dal proprio strumento. Quella melodia che per tutta la settimana era rimasta racchiusa dentro le corde della sua chitarra, ma soprattutto dentro alla sua testa. Lui ci tiene alle sue chitarre, ne ha oramai quasi una collezione, e frequenta spesso i negozi musicali per tenersi aggiornato sulle ultime novità in materia. E quando parla di musica, di qualsiasi genere essa sia, ne parla sempre con dolcezza e con quella deferenza che si riserva alle cose più importanti della vita. La musica è una cosa seria.

Ho anche altri amici in città e fuori; chi insegnante, chi pensionato, chi avvocato e anche loro tengono fra le cose più care le proprie chitarre, le proprie tastiere, i propri sassofoni, la propria voce da spendere nelle bande, nei complessi e nei cori. Strumenti di grande piacere, oltre che propriamente musicali. Il piacere del “fare musica”, senza velleità artistiche o agonistiche. Il piacere, soprattutto, di trovarsi insieme agli altri per suonare e cantare, perché (si sa) il piacere massimo è nella condivisione. E così spesso mi ritrovo invitato ad ascoltare un gruppo rock o pop, una banda, un coro amatoriale. Ma non ci vado come “musicista”, pronto magari a notare la “stecca”, l’imperfezione o qualche “vuoto di memoria”. No, ci vado come appassionato di musica che va ad ascoltare altri appassionati, proprio come lui. Il fatto poi che per me la musica sia una professione va da se; in quel momento è assolutamente irrilevante. L’emozione che si prova all’ascolto della musica, soprattutto quando senti che è fatta con il cuore, ti fa perdonare per un attimo l’orecchio critico. Diciamo che in quel momento il cuore ha la meglio sull’orecchio. Se poi vado ad ascoltare un’orchestra o un gruppo di professionisti magari il mio orecchio si aspetta anche qualcosa in più, che diamine. Ma il cuore no, il mio cuore che dalla musica assorbe la propria linfa è sempre lo stesso. Sia che io ascolti la banda del paese o la Filarmonica della Scala. Da ogni musica ascoltata si ricevono emozioni e sensazioni diverse.

Fino all’ottocento, quando ancora non esistevano i mezzi meccanici ed elettrici di riproduzione del suono (leggi: grammofono, radio e televisione) l’unico modo per ascoltare la musica era quello dal vivo. E per chi non aveva la fortuna di poter frequentare i teatri e le sale da concerto c’erano le bande e i cori a supplire a questo. E c’erano le piazze, le chiese e i teatrini di paese a sostituirsi ai luoghi cittadini più blasonati. Non solo: in ogni casa ognuno sapeva “strimpellare” almeno uno strumento così che ogni riunione salottiera nelle residenze più altolocate o semplicemente una “veglia” nelle case di campagna era molto spesso l’occasione per improvvisare concertini dove si cercava di riprodurre gli spartiti dei brani musicali più in voga o si faceva da colonna sonora ai balli delle feste di casa. Era stato coniato un termine, semplice e schietto, per descrivere chi suonava o cantava per il puro diletto e il puro godimento dello spirito: dilettante. E questo bel termine era stato poi prestato anche alle altre arti e infine allo sport. Un termine, ahimè, che oggi nella nostra evoluzione(?) linguistica suona spesso in maniera negativa, quando non dispregiativa. Oggi dilettante significa spesso incompetente, un quasi buono a nulla insomma in un mondo dove la “perfezione” dell’elettronica ci costringe sempre più a vivere in competizione con le nostre macchine, i nostri computer, i nostri telefoni dell’ultima generazione. Negli ultimi anni in tutti i campi il “dilettantismo” è quasi visto non dico con vergogna ma con l’occhio benevolo di chi è pronto a stendere un “velo pietoso”. Oggi il termine “dilettante” sembra essere riservato solo alla “terza età” (quando insomma si diviene dei buoni a nulla) ed è stato sostituito dai più altisonanti “esperto”, “tecnico”, fino ad arrivare al più sportivo “campioncino” (speriamo poi che fra tutti questi campioncini riuscirà ad uscirci almeno qualche campione!). Ovviamente se sparisce il “dilettante” è destinato a sparire anche il “diletto” e cioè il semplice e puro divertimento a fare qualcosa che ci fa star bene e ci emoziona. Ora dico: ma come è possibile… allora nella musica e nello sport siamo destinati a non divertirci più? Oppure oggi per divertirsi bisogna necessariamente essere “esperti” da un lato o trasgredire o, peggio, sballarsi dall’altro?

Ma allora viva i dilettanti e il dilettantismo, anche nella musica! Viva i complessini, le cover, le bande, i cori, i gruppi amatoriali… viva insomma chi suona e canta “in primis” per il piacere di farlo e poi, non di secondaria importanza, anche per il piacere di allietare e divertire gli altri. Che sia un concertino o una serata da ballo o la colonna sonora di una festa.

E allora viva chi suona e canta per davvero, chi rischia anche la “stecca” in diretta, mettendosi in gioco! Viva chi riesce a trasmetterci un’emozione anche in modo semplice e imperfetto. Spesso la perfezione, anche nella musica, sacrifica le emozioni pur di rispettare gli oramai altissimi target discografici. Forse non si è capito fino in fondo che un mondo di soli tecnici è destinato a inaridirsi e a massificarsi. La musica, soprattutto quella colta e professionistica (come del resto lo sport) ha bisogno del proprio “zoccolo duro” che è rappresentato proprio dal dilettantismo, usando questo bel termine nella sua più schietta e sacrosanta accezione. Una città, una nazione più è vivace quanto più da ogni parte arriva alle nostre orecchie la musica, da quella festosa della banda in piazza a quella colorita della musica leggera, da quella austera dei cori a quella clownesca e irriverente dei gruppi di strada. E questo lo dovrebbe capire anche chi legifera e amministra, visto che purtroppo i più recenti regolamenti in materia sono molto puntuali a preoccuparsi dei decibel prodotti da una chitarra elettrica o da una batteria ma troppo spesso tacciono su quell’inquinamento acustico cittadino massiccio e stratificato del quale, per fortuna, la musica eseguita dal vivo non ne è certo la colpevole.

Viva il dilettantismo musicale allora, e “W la Musica”, come ripete ogni giorno in un simpatico tormentone su Facebook un altro mio grande amico dilettante!

“La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori” diceva già diversi secoli fa il grande Johann Sebastian Bach. Intendendo per silenzio non certo quello dell’udito, ma quello dell’anima.

Info: www.amicidelquartetto.com/

 

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