68 anni fa moriva fucilato il partigiano Bruno Petriccioni. Il ricordo dell’Anpi

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GAVORRANO – “Cara Cina, sono prigioniero dei tedeschi da tre giorni. Non so quale sarà la mia fine. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per la nostra cara Italia che è diventata un mare di sangue, di dolori, di miseria e di rovine. Non ho paura di morire, ma piango la mia cara Margherita e i miei tre bimbi che per me sono tutta la vita”

Questo l’incipit della lettera d’addio scritta dal partigiano Bruno Petriccioni alla sorella erodiade detta Cina prima venire fucilato, il 6 ottobre 1944, con l’accusa di essere un capo partigiano. A 68 anni di distanza l’Anpi di Gavorrano-Scarlino vuole ricordare la ricorrenza delal morte di questo coraggioso cittadino italiano.

Bruno Petricccioni nasce il 9 luglio 1895 a Verona. Laureato in Giurisprudenza, partecipa alla Grande Guerra dove riporta gravi ferite meritandosi il grado di maggiore. Poi la famiglia si trasferisce a Firenze in via Metastasio dove il Petriccioni svolge l’attività di avvocato. A seguito delle leggi razziali si prodiga per aiutare gli ebrei perseguitati, riuscendo a farne fuggire molti in Svizzera, tant’è che in modo affettuoso si merita l’appellativo di “avvocato degli ebrei ”.

Nel 1943 sfolla con la famiglia in Maremma prendendo dimora presso Villa Adua, lungo l’Aurelia, vicino a Gavorrano. In Maremma si adopera subito per organizzare la resistenza tenendo i collegamenti tra il comando del Raggruppamento Bande di Siena e le formazioni partigiane che si andavano formando nella zona.
Si legge nei rapporti ufficiali, tra l’altro, che “il Maggiore Petriccioni si distinse in questo ruolo per ardimento, abilità, tenacia e fede, pagando sempre di persona e che […] seppe far nascere quasi dal nulla i primi nuclei partigiani”.
Grazie alla fiducia goduta dai superiori ed al suo coraggio nel ’44 gli fu affidata una missione pericolosissima. Nottetempo si imbarca a Cala Martina verso la Corsica per raggiungere le truppe anglo americane e collaborare ad un eventuale sbarco alleato nel golfo di Follonica. Cosa successe in quel tragitto non è dato sapere. Qualcuno sostiene che fu prima fermato dalla Polizia francese e forse costretto a raggiungere Tripoli. Poi la lettera scritta il 28 luglio del ‘44 da La Spezia che giunge alla sorella residente a Roma. Tradotto da La Spezia a San Vittore viene fucilato il 6 ottobre 44 con l’accusa di essere un capo partigiano e il corpo lasciato nella strada vicino a Moirago, nel cui cimitero viene sepolto. Finita la guerra la salma sarà traslata a Roma nella cappella di famiglia ed infine trasferita nel Cimitero di Follonica.
Quella che segue è la toccante lettera scritta alla sorella, a cui affida moglie figli e anziani genitori:

Spezia 28/07/44
“Cara Cina,
sono prigioniero dei tedeschi da tre giorni. Non so quale sarà la mia fine. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per la nostra cara Italia che è diventata un mare di sangue, di dolori, di miseria e di rovine.. Non ho paura di morire, ma piango la mia cara Margherita (la moglie) e i miei tre bimbi che per me sono tutta la vita e per loro non ho mai visto altro che sacrificio e lavoro. Penso con terrore a lasciarli soli al mondo senza una guida in questi tempi tanto difficili. La mia cara Mirka, la mia cara Nadia e il mio caro Gaddo sono davanti ai miei occhi.
Li affido alle tue cure perché Margherita dopo la perdita del caro Valfredo ha perduto ogni forza ed ogni volontà. Mi raccomando tanto Gaddo e Nadia la cui salute è debole. Le raccomandazioni da farti sono molte…[…] Mi affido al tuo affetto, a Gaddo ogni sei mesi fategli fare i raggi e tenetelo molto all’aria aperta. Baciami tanto mamma e babbo che poveretti nella loro vecchiaia vedono morire rapidamente la loro famiglia; già due morti in un anno e con me sarebbero tre. Non ho il conforto di avere con me nessuna fotografia poiché mi hanno pescato in acqua in mare e quindi ho perduto tutto. Salutatemi tutti i miei amici di Roma…”

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