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A Pitigliano la presentazione del romanzo “Mamma Miriam” della scrittrice e psicoterapeuta  Masal Pas Bagdadi

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PITIGLIANO – L’associazione “La piccola Gerusalemme”, in collaborazione con Michela Scomazzon Galdi, organizza a Pitigliano la presentazione del romanzo “Mamma Miriam”, della scrittrice e psicoterapeuta Masal Pas Bagdadi, Bompiani 2013. L’appuntamento è domenica 22 ottobre, alle 16, nella sala Augusto Brozzi, vicolo Marghera, traversa di via Zuccarelli: interverrà Elena Servi, della Piccola Gerusalemme e l’autrice Masal Pas Bagdadi.

Nata a Damasco, in Siria, nel 1938, Masal a 5 anni è costretta a fuggire in Palestina con la sorella a causa delle persecuzioni razziali. La piccola Masal cresce in kibbutz lontana dalla famiglia. L’esperienza traumatica della fuga e della separazione forzata dalla madre spingono Masal ad adattarsi bene alla vita del kibbutz e la stimolano, da grande, ad occuparsi con passione e creatività dei disturbi psicologi di bambini, adolescenti e adulti. E’ in Italia, infatti, dove si trasferisce, che diventa psicoterapeuta e scrittrice. A Milano ha creato il “Centro giochi di Masal” ed è presidente dell’associazione onlus “Chi sono io?”, che promuove iniziative psicopedagogiche. Con Bompiani ha pubblicato nel 2003 la sua autobiografia, A piedi scalzi nel kibbutz, nel 2013 Mamma Miriam, nel 2015 Ho fatto un sogno e nel 2017 Il tempo della solitudine.

Mamma Miriam (Bompiani, 2013) di Masal Pas Bagdadi

In “Mamma Miriam“ Masal Pas Bagdadi sente il bisogno di raccontarci di nuovo aneddoti, ricordi, pensieri sulla sua vita passata e presente, un viaggio narrativo intimo con i suoi lettori centrato sulla figura di Mamma Miriam, simbolo ed essenza di ogni madre reale, desiderata o immaginata. Il vissuto si snoda seguendo il filo conduttore della madre, amatissima e mitizzata, il cui ricordo ha lasciato un segno profondo nella scrittrice, che in un’intervista ha dichiarato:

«Io sono cresciuta a Damasco da una famiglia antichissima.  Mia madre mi ha trasmesso tantissimi elementi identitari. Ecco perché parlo di mia madre. Lo faccio anche nella terapia. L’immagine di mia madre diventa lo specchio di tutte le madri, di una figura d’accoglienza fondamentale per la formazione di ogni individuo».

L’esperienza traumatica della fuga e della separazione dalla madre spingono Masal, più tardi, ad occuparsi in Italia dei disagi psicologici dell’infanzia attraverso la professione di psicoterapeuta e la creazione del “Centro giochi di Masal”, asilo nido d’impostazione psicoanalitica che nel tempo è diventato un centro di studi per chi si occupa in generale dell’infanzia e dell’adolescenza.  

Da alcune interviste della scrittrice:

«Se dal punto di vista spirituale e culturale mi sono formata in Israele – dice Masal – è in Italia che ho potuto rielaborare la mia esperienza di vita e tradurla professionalmente nella psicoterapia. Ho portato questi principi nel mio lavoro, negli asili. L’idea del kibbutz è infatti quella che ciascuno deve essere messo nelle condizioni di dare il meglio di sé, sentendo il supporto degli altri. L’individuo non esiste senza il sostrato della comunità in cui vive. Così è anche nella terapia».

«Quando ho intrapreso l’avventura di raccontarmi, desideravo soprattutto lasciare una testimonianza delle mie radici ai miei figli e ai miei nipoti, in modo che avessero un legame con il passato per poter ricostruire il loro albero genealogico, se lo desideravano. Non mi rendevo conto che la mia storia poteva avere risonanza emotiva in tante persone comuni, senza distinzione di religione o stato sociale».

«A piedi scalzi nel kibbutz non bastava di sicuro a salvare i ricordi e i pensieri depositati dentro di me. E mentre lo presentavo al pubblico sentivo che ancora dovevo fare i conti con il passato, e soprattutto con il presente, per far diventare l’Italia il mio Paese di adozione. Ho deciso così di continuare ad andare in giro per il paese e raccontare ancora e ancora, e in viaggio ho scoperto gli italiani, un popolo affettuoso e accogliente. A ogni incontro si ricreava quella magia inaspettata: io e gli altri, gli altri e me, le distanze si accorciavano e la gratitudine reciproca era sincera».

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