L'opinione

#tiromancino – L’Europa s’è desta. Ora bisogna si sveglino le belle addormentate: Italia e Maremma

Tiro Mancino

GROSSETO – Bisogna partire dai fondamentali. Perché sennò chiunque è autorizzato a sostenere qualunque amenità. Bene che vada. Perché generalmente si sentono dire bestialità vere e proprie.

I fondamentali ci dicono che gli Italiani stanno ai vertici della graduatoria mondiale della ricchezza pro-capite. Con quasi 10mila miliardi in assets. Di cui 4mila 500 miliardi in azioni, obbligazioni, titoli di Stato e liquidità. E il resto in patrimonio immobiliare, imparagonabile con qualunque altra realtà delle economie avanzate (85% degli Italiani è proprietario di almeno una casa). Sempre i fondamentali ci dicono che nel Belpaese il valore stimato dell’evasione fiscale è di circa 200 miliardi di euro all’anno, la metà dei quali, più o meno, sarebbero di entrate fiscali. Inoltre. Grazie al sistema di pagamenti interbancari degli istituti di credito che operano in euro – ”Target2” – la Banca centrale europea (Bce) ha verificato che nel solo mese di marzo dall’Italia sono usciti 492 miliardi di euro (16 al giorno) che sono andati a finire in azioni, obbligazioni e titoli di stato esteri. Mentre tra febbraio e marzo è aumentata di 20 miliardi di euro la liquidità sui conti correnti delle famiglie italiane. Il quintuplo della media mensile (fonte: Financial Times)

Non è un caso che le famiglie italiane siano le meno indebitate d’Europa: nel 2018 il 40.3% del Pil a fronte del 57.7% dell’Eurozona (Olanda 102% e Germania 52.9%). Lo stesso vale per il settore privato italiano nel suo complesso: 110.1% del Pil a fronte del 162.6% dell’Eurozona.

Parallelamente, però, alla ricchezza privata fa da contraltare la difficoltà dello Stato: con un debito pubblico che ha oramai raggiunto quota 2.400 miliardi. Equivalenti al 133% del prodotto interno lordo (Pil). Che con le ultime due manovre anti Sars-Cov-2, alla fine di quest’anno secondo Bakitalia raggiungerà quota 156% (+21%).

Nasce da questo stato di fatto, la diffidenza – per usare un edulcorato eufemismo – che la gran parte dei Paesi europei nutre nei confronti dell’Italia. Che a Bruxelles dà continuativamente l’impressione di «chiagnere e fottere». Invocando sempre il proprio stato di eccezionalità per chieder quattrini, a fronte di una ricchezza privata decisamente invidiabile.

Altri dati di fatto di cui tener conto. Venerdì scorso il governatore di Bakitalia Vincenzo Visco in occasione delle “Considerazioni finali sulla Relazione annuale sul 2019” ha specificato che quest’anno a causa del coronavirus l’Italia perderà molto probabilmente il 9% del Pil, ma potrebbe arrivare al 13%. E soprattutto ha detto che il quinto più povero della popolazione (il 20% del totale) quest’anno perderà in termini di reddito il doppio di quanto perderà il quinto più ricco degli Italiani. Il che – dopo dodici anni di divaricazione crescente – significherà un ulteriore aumento della forbice tra chi è più ricco e chi è più povero. Con un peggioramento anche della condizione del cosiddetto ceto medio. Per non parlare dell’aumento della disoccupazione, che il presidente di Confindustria Bonomi ha quantificato in una perdita da 700mila a un milione di posti di lavoro. Oppure dei cinque milioni di Italiani poveri, destinati a crescere di numero.

In questo contesto, la Commissione europea ha deciso per la prima volta con tempestività di proporre un piano di rilancio da 750 miliardi di Euro, denominato “Next generation EU”. 500 dei quali assegnati come contributi a fondo perduto, e 250 come prestiti a lunga scadenza e a basso tasso d’interesse. Piano che si aggiunge agli acquisti di titoli di Stato della Bce, al Mes (240 mld) e al programma Sure contro la disoccupazione (100 mld).

L’Italia è la prima beneficiaria di questa “cuccagna” e – salvo modifiche – dai calcoli odierni dal Next generation EU potrebbe ottenere fino a 173 miliardi di euro, dei quali 81 come contributi e 92 di prestiti. A seguito della valutazione dei danni indotti dalla pandemia, infatti, il nostro Paese risulterà il principale beneficiario d’Europa. Con il 20,45% delle risorse totali, prima di Spagna e Francia. Anche se non sarà il beneficiario netto maggiore (tenuto conto cioè di quanto conferisce al bilancio Ue).

Questo piano di sostegno alle economie più danneggiate dalla pandemia di Sars-Cov-2, peraltro, diversamente dalle posizioni pornografiche sostenute dai sovranisti all’amatriciana tipo la Meloni, non sarà finanziato «stampando moneta». Ma emettendo Recovery Bond (titoli per la ripresa) “marchiati” da Bruxelles, che saranno collocati sui mercati con l’obiettivo di reperire le risorse necessarie. Titoli di debito garantiti dal bilancio europeo 2021-2027 (finanziato dagli Stati), che verranno rimborsati agli investitori a partire dal 2028, e che potranno essere spalmati fino al 2058.

Alla fine della fiera sia i contributi a fondo perduto che i prestiti a tasso molto agevolato, saranno assegnati su richiesta degli Stati. E, giustamente, legati al raggiungimento di alcuni obiettivi strategici per l’Unione europea. Preoccupatissima che non si generino divari incolmabili fra le economie dei diversi Paesi europei (due o tre velocità diverse), col rischio di fare saltare l’euro e il mercato comune. Quindi lo stesso spazio comune europeo. Di cui l’Italia è sia tassello determinante che (ignominiosamente) punto debole.

Fra l’altro, per inciso, i Recovery Bond sono parenti stretti degli Euro Bond, promossi e richiesti per prima dall’Italia, poi da un fronte di 19 Stati e dal Parlamento europeo. Il fatto che alla proposta avanzata dalla Commissione europea presieduta da Ursula Von Der Leyen si sia arrivati a seguito dell’iniziativa di Merkel e Macron, quindi, è una conseguenza logica dei reali rapporti di forza oggi vigenti in Europa. E solo un nazionalismo da operetta, culturalmente subalterno e pretenzioso, può descrivere questo risultato come una mortificazione dell’Italia. Che per ambire ad avere un ruolo di primissima fila, dovrebbe smetterla di «chiagnere e fottere» e risolvere i propri annosi problemi.

Considerato che questi quattrini andranno spesi in ambiti specifici – dall’ambiente alla digitalizzazione, dalla giustizia all’istruzione, dalla green economy a ricerca e infrastrutture – l’Italia dovrà dimostrare di saper essere all’altezza della situazione. Mettendo in campo sia un progetto credibile, sia la capacità di portarlo a compimento. Spendendo presto e bene le risorse che le verranno riconosciute. Cosa che in troppi casi ha già ampiamente dimostrato di non saper fare. Come ad esempio è avvenuto con i quasi 12 miliardi di Fondi strutturali che diverse Regioni, non solo a sud, non hanno saputo né impegnare né spendere. E che recentemente Bruxelles ci ha ri-assegnato per un primo intervento di sostegno a contrasto della crisi da covid-19.

Come per l’Italia, il “Next generation EU”, costituirà l’ultimo treno utile anche per la provincia di Grosseto. Territorio economicamente marginale nel contesto di un Paese alla canna del gas.

Per questo sarà fondamentale farsi trovare pronti con idee per lo sviluppo e progetti cantierabili per le infrastrutture. Con l’obiettivo di vedersi assegnata una quota delle risorse europee che arriveranno all’Italia. Obiettivamente una cosa non facile, considerato il livello conflittuale alimentato con la Regione e la capacità poco esaltante di elaborazione strategica. Evidenziato da certe trovate naif, come quella di contabilizzare i canoni demaniali degli stabilimenti balneari fino al 2033 fra le risorse per reagire alla pandemia…..

Ad ogni modo, facendo un sommario elenco delle cose sulle quali stringere. Per le infrastrutture va colto l’attimo, redigendo subito le progettazioni di massima per corridoio tirrenico, Maremmana e Cipressino. Progettando la diffusione capillare della tecnologia 5G in tutta la provincia, perché è un potenziale determinante elemento di competitività per un territorio periferico e scarsamente popolato come il nostro. Così come va progettata la realizzazione di piccoli snodi logistici in base ai bisogni delle aree produttive, come quella del Casone di Scarlino. Oppure la rete degli invasi di accumulo idrico per l’irrigazione, il contrasto a siccità e ingressione del cuneo salino, o per usi industriali. E quella di abduzione, distribuzione e depurazione delle acque.

Vanno poi individuati progetti di sistema per sviluppare il comparto agroindustriale, verticalizzando finalmente la trasformazione dei prodotti agricoli. E allo stesso modo occorre immediatamente allestire un progetto di formazione a sostegno delle imprese manifatturiere più innovative, in grado di crescere e creare occupazione.

Sul piano delle dotazioni infrastrutturali più prettamente pubbliche, bisogna ripensare e implementare la rete dei servizi sanitari territoriali, quella scolastica e per l’infanzia. Stesso ragionamento andrebbe fatto anche rispetto alla rete del welfare territoriale, coi suoi crescenti bisogni assistenziali ai quali mancano risposte organiche strutturate.

Infine, il grande tema delle bonifiche ambientali, che riguarda prevalentemente la zona nord. Ma anche quello dell’organizzazione di un più efficiente polo industriale imperniato sull’economia circolare. Insomma di carne al fuoco da mettere ce ne sarebbe tanta. E stavolta, con buone probabilità, senza l’alibi della scarsità delle risorse. Mancare anche quest’occasione costituirebbe un crimine contro l’umanità.

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