L'opinione

#tiromancino, nuovo corso della Fondazione Cultura: «culo che non vide mai camicia, gran festa gli fece!»

Tiro Mancino

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Il nuovo corso della Fondazione Grosseto Cultura è iniziato col piede giusto. Appena insediato, il neopresidente Giovanni Tombari ha subito marcato la discontinuità culturale e di metodo con chi lo ha preceduto, all’insegna dell’understatement: sordina alle polemiche, ascolto, governance inclusiva della fondazione. Buttandola ancora sugli anglicismi, che fanno chic, potremmo dire che ha praticato con profitto il positive thinking, insomma. Anche se questo continua sottotraccia a confligge con la parte più retriva e assatanata della maggioranza che guida il Comune, azzoppata da un deficit strutturale di cultura di governo.

Ad ogni modo – andando al sodo – Tombari ha rimesso in carreggiata la sciagattata macchina della Fondazione Grosseto Cultura, restituendole il ruolo di think tank culturale cittadino e valorizzando le competenze dei “tenores” al vertice delle tre aree d’intervento: Mauro Papa (direttore di Clarisse Arte), Andrea Sforzi (direttore del Museo di storia naturale) e Antonio Di Cristofano (direttore della Scuola comunale di musica Palmiro Giannetti). Questo conta molto, perché nella Toscana che con 5.811 milioni di Euro* occupa la sesta posizione nella graduatoria nazionale del valore aggiunto creato da aziende creative e culturali, Grosseto e la sua provincia sono praticamente desaparecide. E quindi se c’è una speranza di risalire la china e valorizzare le intelligenze creative e culturali che pure in questo territorio ci sono, traducendone le idee in indotto economico e benessere collettivo, questa non può che essere affidata a una cabina di regia pensante. Un hub della creatività che sappia far dialogare con pazienza e lungimiranza quel che di buono e ipogeo c’è nel nostro comprensorio, anche oltre i confini comunali. Ché il campanilismo autarchico in questo ambito è un virus ofitico presago di sciagure e fregnacce sotto mentite spoglie culturali.

A questo ruolo, per quanto “in nuce”, potrebbe ambire proprio la Fondazione Grosseto Cultura. Che, sin da subito, dovrebbe avere pazienza ma pensare in grande, per essere all’altezza di un compito tanto gravoso quanto esaltante. In proposito, già che ci siamo, butto là un consiglio non richiesto. Poiché ogni ambizione ha bisogno di risorse oltre che di idee, il nuovo presidente della Fondazione – si parva licet – dovrà concentrarsi su come trovare alla svelta il modo di raccattar quattrini, tirando fuori dalle rape maremmane il sangue prezioso del mecenatismo culturale. Gli esordi poco lusinghieri dei progetti rientrati nell’Art Bonus – recupero del bastione della Cavallerizza e del vecchio edificio della Biblioteca Chelliana – indurrebbero al pessimismo cosmico. Ma l’impressione è che ancora non si sia smosso niente perché mancano sia un progetto adeguato di comunicazione, che una capacità organizzata di coinvolgere aziende e cittadini rispetto all’obiettivo. Altro terreno sul quale la Fondazione potrebbe cimentarsi con profitto e soddisfazione.

Ultimo, ma non per importanza, il tema dell’approccio. Fino ad oggi la mentalità prevalente a Grosseto è stata quella d’importare saltuariamente eventi culturali, spesso presunti tali, per dimostrare urbi et orbi quanto anche la provincia profonda fosse attenta al “culturale”. Oppure, viceversa, si è tentato di nobilitare il genius loci. Scambiando piccole tradizioni o eventi storici di poca rilevanza per fenomeni culturali degni di palcoscenici prestigiosi. Approccio patologico e sintomatico di un provincialismo recalcitrante a ogni apertura mentale, e in buona sostanza a mettere in discussione le ridotte all’interno delle quali ognuno si è rinchiuso per non mettersi in discussione.

La via maestra, come ha più volte sottolineato Mauro papa nei suoi interventi pubblici, è invece quella di dare spazio e mezzi alle «emergenze creative locali» (nel senso che sono in emersione), contaminandole e facendole dialogare con apporti esterni. Un modo per far crescere, mettere a sistema e in competizione virtuosa il vasto tessuto di associazionismo culturale, dal quale possano emergere coloro che hanno la stoffa per fare il salto di qualità.

Un corrivo proverbio maremmano recita: «culo che non vide mai camicia, gran festa gli fece!». A Grosseto negli ultimi venticinque anni, per un motivo o per l’altro, non s’erano mai create condizioni tanto favorevoli a un rinascimento della cultura e della creatività. «Gaudeamus igitur» e speriamo non soffochino la creatura nella culla.

*Rapporto Fondazione Symbola-Unioncamere “Io sono cultura – 2017 – L’Italia della qualità e della bellezza s da la crisi”

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